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Il lockdown ha dato una spinta ulteriore a lasciare la scuola. Lo ricorda stamane Tuttoscuola, citando un’indagine condotta da Ipsos tra gli studenti della secondaria di secondo grado: nel 28% delle classi si sarebbe verificato almeno un abbandono di un loro compagno, da quando la pandemia ha compromesso le attività didattiche in presenza. Poiché nel 2019-20 le classi funzionanti erano 121,5mila, si può ritenere che, se fondata la stima del 28%, non meno di 34mila ragazzi hanno abbandonato o siano propensi a non ritornare a scuola: una ferita – commenta la rivista - che negli ultimi dieci anni ha comportato un abbandono complessivo di quasi 1,6 milione di ragazzi, il 26% degli oltre 6 milioni che nel decennio precedente avevano iniziato il loro primo anno del percorso scolastico nelle superiori. È come se tutte le scuole statali della Lombardia e della Toscana si svuotassero senza avere in classe nemmeno uno del milione e 658 alunni iscritti quest’anno, lasciando deserte le aule di paesi e città”.
“Il problema – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – è che in un modo o nell’altro la didattica a distanza ha messo a nudo gli effetti del digital divide che purtroppo continua a imperversare nel nostro paese, con gli alunni che diventano vittime innocenti di questo intollerabile gap di conoscenze e soprattutto di accesso alle nuove tecnologie digitali ed interattive. Oltre che per permettere l’attuazione del diritto allo studio su tutti i giovani, vera priorità dello Stato, affrontare questo problema permetterebbe di combattere pure la dispersione scolastica, altra conseguenza diretta della chiusura forzata delle scuole e della didattica a distanza. Ha fatto bene il Governo, quindi, a intervenire con l’assegnazione di device e collegamenti ai discenti che ne erano sprovvisti, come pure in comodato d’uso ai docenti precari, anche se per i supplenti continua a essere indispensabile l’accesso al bonus dell’aggiornamento assegnato invece dalla Legge 107/15 solo al corpo insegnante di ruolo. Sullo sfondo rimangono poi altri nodi da sciogliere: la mancata cancellazione del dimensionamento scolastico introdotto negli ultimi 12 anni, con 4mila istituti autonomi tagliati su 12mila, l’aumento progressivo di alunni per classe, alla base dell’indecenza delle 20mila classi pollaio, tagli operati alla Conoscenza dagli ultimi governi, anche nei confronti degli enti locali. Con effetti inaccettabili pure sul versante del personale, il quale si è trovato con stipendi soffocati dall’inflazione, sempre più precarizzato e con sempre meno posti a disposizione. Ecco perché sarebbe indispensabile andare a incrementare gli organici, anche del personale Ata, proprio in quelle zone dove il disagio è maggiore, il tasso di abbandono è alto, direttamente proporzionale spesso anche al numero di alunni stranieri, difficili e con disabilità”.
Stamattina Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, è stato intervistato da Radio Crc all’interno della trasmissione “Barba e capelli” sul tema della riapertura delle scuole. Il leader del sindacato ha affermato che “già come Anief, un mese fa, avevamo chiesto un periodo di 10 circa tra la fine delle vacanze natalizie e l’inizio delle lezioni in classe per poter fare screening a personale scolastico e studenti, così da poter riaprire le scuole in sicurezza. Oggi invece registriamo una situazione di confusione, in cui ogni regione procede un po’ per la sua strada. Per noi sono necessari screening obbligatori e priorità a vaccini”.
“Inoltre il vero problema – ha continuato Pacifico – è il fatto che aumenta l’incertezza, sia per le famiglie che per il personale. Quello di cui abbiamo bisogno è la diagnostica, senza analisi non si può capire, poiché durante le vacanze certamente la curva dei contagi è salita per il mancato rispetto del distanziamento sociale. Bisogna procedere adesso con la didattica a distanza e noi come Anief abbiamo firmato un contratto che ha consentito di avere regole più certe”.
“In definitiva le classi sono sicure, abbiamo firmato anche i protocolli di sicurezza, ma la verità è che la scuola è uno dei pochi luoghi dove c’è un’alta concentrazione di persone e in caso di positività il virus si diffonde. Più che di banchi abbiamo bisogno di aule per far diminuire il fenomeno delle classi pollaio”, ha concluso il sindacalista autonomo.
Da dieci giorni si è conclusa la possibilità dei docenti di presentare domanda di richiesta di ricostruzione carriera, così da ottenere il riconoscimento dei servizi validi, una migliore fascia stipendiale di appartenenza e quindi gli incrementi salariali dovuti: tramite istanze online, la richiesta va inviata al dirigente scolastico che nel volgere di alcune settimane, grazie al fatto che il sistema è stato totalmente digitalizzato, provvederà all’emissione del decreto di ricostruzione quindi la trasmissione alla Ragioneria generale dello Stato, dipartimento del Ministero dell’Economia. Alla procedura sono interessati tutti gli immessi in ruolo dell’ultimo anno e coloro che non l’hanno ancora fatto. Cosa debbono aspettarsi i lavoratori del settore scolastico che hanno svolto il servizio militare o civile sostitutivo? È possibile conteggiare tale periodo ai fini della ricostruzione carriera per il corretto inquadramento del dipendente nella rispettiva fascia stipendiale? Orizzonte Scuola, normativa alla mano, spiega che l’amministrazione valuta questo servizio solo se prestato in costanza di rapporto d’impiego. Per il sindacato è un’interpretazione illegittima. Chi è interessato può rivolgersi alle sedi regionali del sindacato.
“Come Anief – dice il suo presidente nazionale Marcello Pacifico - abbiamo sempre sostenuto che il riconoscimento del servizio militare, anche se svolto non in costanza di rapporto di lavoro con il Ministero, è un diritto coerente con i precetti dell'articolo 52, comma 2, della Costituzione e, al tempo stesso, funzionale alla salvaguardia del principio della parità di trattamento e di non discriminazione. L’amministrazione scolastica, invece, perseverando nella sua ostinazione del voler circoscrivere la valutazione del servizio militare e l'attribuzione del relativo punteggio ai soli docenti che erano anche destinatari di incarico di insegnamento, continua a negare in modo scorretto l’assolvimento di tale diritto”.
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