Rassegna stampa

Recensioni dalla Stampa al 29 giugno 2012

Asasi - La Letterina n.328 – 21 giugno 2012
“Che cosa chiediamo alle Indicazioni nazionali ?”
░ Riportiamo una riflessione che l’Asasi ha ripreso dal Centro per la formazione e l’aggiornamento “Diesse” in tema di Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione.
Le Indicazioni hanno sostituito i vecchi programmi e, almeno in teoria, avrebbe dovuto rappresentare quei livelli essenziali di prestazione (Lep), sulla base dei quali le scuole, nella loro autonomia, avrebbero dovuto calibrare l’offerta formativa… Nell’ultimo decennio si sono susseguite operazioni sperimentali di vario genere. Le Indicazioni nazionali del 2004 targate Moratti, sono state corrette dalla Indicazioni per il curricolo del 2007 targate Fioroni. Le prime erano improntate alle unità di apprendimento e ai piani di studio personalizzati; le seconde alla programmazione curricolare intesa come processo di costruzione di competenze attraverso la connessione fra i saperi…. Per l’innalzamento della qualità degli insegnamenti e degli apprendimenti di questo livello, entrambe le versioni delle Indicazioni proponevano la “conoscenza ologrammatica”: conoscenza degli elementi comuni a vari linguaggi e a varie discipline resa possibile da un insegnamento che punta ad una conoscenza basata sulla esperienza dell’alunno. La presenza nella normativa di orientamenti impegnativi su punti assolutamente significativi ha comportato la necessità di conoscere, almeno approssimativamente, la situazione delle scuole. In questo senso, il Miur ha avviato nei mesi scorsi un monitoraggio, curato dall’Ansas, che ha coinvolto 5.986 istituzioni statali e 4.250 paritarie, focalizzato sul “contesto di riferimento all’interno del quale le scuole hanno sperimentato Indicazioni e riforme del sistema” (nota del 2 aprile 2012). La lettura seppure parziale dei dati fa emergere elementi di un certo interesse: il 94,1% delle scuole ha modificato il Pof (Piano dell’offerta formativa) nell’ottica delle Indicazioni; nella scuola primaria l’offerta formativa è stata modificata prevalentemente nell’ambito di Teatro/ danza/ musica (68,3%); nella scuola secondaria di I grado l’ambito delle maggiori modifiche è quello delle Lingue (54,5%). Inoltre è rilevante che il 73,3% delle istituzioni scolastiche valuti gli apprendimenti in ordine agli standard fissati dalla singola scuola, tenendo in qualche modo a distanza sia gli standard europei, che le prove nazionali Invalsi. Nel complesso non sembra avvenuta alcuna rivoluzione, semmai l’assorbimento del nuovo entro la buona tradizione della scuola italiana che alla fine rende praticabile anche l’impossibile. La nuova consultazione di recente promossa avviene sulla base di un questionario e di una bozza curata da una commissione del Miur (un nuovo testo) dalla quale traspare una evidente propensione per la scuola della verticalizzazione curricolare che consegue alla forma sempre più diffusa degli istituti comprensivi. Questo quadro pone una serie di problemi che devono avere risposte prima della ufficializzazione del testo. Tra queste tre sono inderogabili.
1. La collocazione data alla scuola dell’infanzia che appare schiacciata sul quinquennio seguente e impoverita ulteriormente nelle caratteristiche che le avevano permesso di mantenere una posizione di eccellenza.
2. Una più chiara motivazione della scelta per il curricolo, che non è solo una organizzazione degli apprendimenti, ma una filosofia dell’insegnamento e della trasmissione dei contenuti…
3. La circolare n. 46, 24 maggio 2012 apre alla possibilità di un coinvolgimento di reti di scuole, enti locali, associazioni, Università che potranno, entro giugno, elaborare memorie, proposte, segnalazioni, ecc.; eppure il questionario è compilabile on line esclusivamente da parte delle scuole. Riteniamo che la consultazione dovrebbe superare i limiti di un questionario a risposta chiusa…
la Repubblica – 22 giugno 2012
“La scuola di Pontremoli insiste, ri-bocciati i 5 bambini”
░ Dopo l'ispezione ministeriale, sono stati ripetuti gli scrutini per la valutazione dei ragazzini di prima elementare. Ma il risultato non è cambiato: dovranno tutti ripetere l'anno.
E' stata confermata la bocciatura di 5 alunni di prima elementare, in una stessa classe del 'Giulio Tifoni' di Pontremoli, in provincia di Massa Carrara. Gli scrutini sono stati fatti ripetere dal Miur, a seguito di un'indagine ministeriale, che aveva sottolineato "l'insufficienza di motivazioni" nelle cinque bocciature. Tre dei bambini sono stranieri e uno è disabile. Ma il consiglio di classe ha ribadito il proprio giudizio. Le motivazioni a sostegno della conferma delle bocciature non sono state ancora rese note. La relazione dei docenti, arriverà oggi, per posta, all'Ufficio scolastico regionale per la Toscana. Sulla vicenda era intervenuto il ministero della Pubblica istruzione in seguito alla denuncia di alcuni genitore e aveva svolto un'accurata ispezione al termine della quale era stato ordinato al preside Angelo Ferdani di far ripetere gli scrutini. Cosa che è puntualmente accaduta: gli insegnanti si sono di nuovo riuniti per valutare caso per caso i cinque curriculum e hanno confermato il giudizio negativo.

www.governarelascuola.it – 23 giugno 2012
“Scuola: verso l’applicazione della Costituzione ?”
░ Pietro Perziani interviene, dal suo periodico digitale, con un articolo sulla Bozza di Accordo, in materia di attuazione del Titolo V Cost., tra Stato e Regioni: è previsto il passaggio della gestione del sistema di istruzione dallo Stato alle Regioni, sul modello della Provincia Autonoma di Trento.
La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha bocciato le norme sul dimensionamento ed ha invece approvato quelle sulle scuole sottodimensionate, ha suscitato un certo scalpore, ma va detto che essa è perfettamente in linea con le numerose sentenze emesse dalla Corte dal 2003 ad oggi; il fatto è che lo Stato continua a legiferare come se la Riforma del Titolo V non fosse stata mai fatta, eppure sono passati 11 anni. Questa volta, però, lo Stato si è “fatto furbo”; ben sapendo che le norme sul dimensionamento sarebbero state bocciate dalla Corte, ha adottato una specie di norma di salvaguardia che garantisse in ogni caso la riduzione di spesa: la non assegnazione del dirigente e del Dsga alle scuole sottodimensionate. Questo endemico conflitto Stato/Regioni ha così portato all’assurda situazione di 1000 scuole che giuridicamente mantengono la loro legittimità istituzionale, ma in realtà non è così, perché sono state rese acefale, con le ovvie, negative, conseguenze sulla funzionalità del servizio…. E’ ormai evidente che il sistema di istruzione e formazione non può reggere in una situazione dove le competenze dei diversi Enti (Stato, Regioni, EE.LL., Scuole Autonome) non sono ben definite, sia a livello legislativo che a livello amministrativo… Recentemente, la IX Commissione della Conferenza delle Regioni ha approvato una Bozza di Accordo su “Finalità, tempi e modalità di attuazione” del Titolo V della Costituzione in tema di istruzione e formazione. L’Accordo dovrà essere approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e poi dalla Conferenza Unificata Stato/Regioni; se venisse approvato, dovrebbe andare a regime entro il 30 giugno 2013.
L’accordo è suddiviso in cinque capitoli:
1-Competenze legislative. Vengono definite le competenze dello Stato e delle Regioni in materia legislativa: - le norme generali di competenza statale saranno raccolte in un Testo Unico; - verranno individuati i livelli essenziali delle prestazioni da garantire sull’intero territorio nazionale; - le Regioni provvederanno ad adeguare la loro legislazione; - verranno stabilite le competenze degli EE.LL.
2-Trasferimento delle funzioni amministrative. Verranno emanati dal Governo i provvedimenti necessari per il trasferimento alle Regioni delle funzioni di amministrazione e di gestione del sistema; in particolare, passeranno alle Regioni i dipendenti e le risorse degli Uffici Scolastici regionali e provinciali.
3-Organici. Entro il prossimo 30 ottobre verranno approvati i criteri per la suddivisione tra le Regioni delle dotazioni organiche.
4-Dimensionamento. A regime, il dimensionamento verrà effettuato dalle Regioni e dagli Enti Locali entro il 31 dicembre di ogni anno, nell’esercizio delle rispettive competenze e nel rispetto dei vincoli annualmente stabiliti per la finanza pubblica.
5-Trasferimento dei beni e delle risorse. Le risorse (umane, strumentali, finanziarie) della scuola saranno trasferite alle Regioni; in tal senso, verrà modificata a livello legislativo la disciplina del rapporto di lavoro del personale della scuola.
Infine, sono previste anche alcune sperimentazioni, in materia di:
- nuovi modelli gestionali-organizzativi
- forme avanzate di autonomia delle istituzioni scolastiche
- edilizia scolastica
- reclutamento del personale
- nuovi modelli organizzativi, anche valorizzando le reti di scuole.
La carne al fuoco è veramente molta, va però sottolineato che questa è la posizione delle Regioni, bisognerà vedere cosa ne pensa lo Stato.
Contrariamente al passato, le Regioni sembrano comunque essersi attestate su una posizione di gestione diretta del sistema di istruzione e formazione da parte delle Regioni stesse e degli EE.LL., un modello molto vicino a quello già oggi esistente nella Provincia Autonoma di Trento…. non ci piace una scuola gestita dagli assessori regionali, temiamo una “aslizzazione” del sistema di istruzione.

www. FLCGIL.it – 23 giugno 2012
“Scuola, alla lotteria dei tirocini”
░ Un quadro efficace del modo assurdo in cui i stanno per essere gestite le abilitazioni degli insegnanti: a luglio, Caos per migliaia di precari.
Un percorso a ostacoli degno dei giochi olimpici. Solo che al termine non si vincerà nessuna medaglia, ma solo una tenue speranza. Nel mese di luglio si svolgeranno in molte delle principali università italiane le prove preselettive per l’accesso al Tirocinio formativo attivo (Tfa) per l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole medie inferiori e superiori: 60 quiz a risposta multipla riguardanti le principali materie di ogni classe di concorso, a cui farà seguito nei prossimi mesi un compito scritto e un esame orale. Pochi i posti in tutta la penisola: 4.275 nella scuola secondaria di primo grado e 15.792 in quella di secondo grado. I più fortunati – o i più bravi, a seconda dei punti di vista –, coloro che supereranno le tre prove, pagheranno tasse dai 2.200 ai 3.000 euro e seguiranno per un anno corsi e lezioni al termine dei quali ci sarà un altro esame. Per quelli che resisteranno, ci sarà l’attesa di un altro concorso. Sì, perché l’abilitazione ti concede di iscriverti alle graduatorie di istituto di seconda fascia, ma non ti permette di essere assunto da nessuna parte, se prima non superi un concorso pubblico, di cui al momento non si vede traccia alcuna…. “Chi oggi si accinge alle prove preselettive per l’accesso al Tfa affronta un sacrificio economico che rischia di non avere un riscontro nell’esito finale – afferma Corrado Colangelo, della Flc Cgil nazionale, che ha seguito fin dall’inizio il difficoltoso percorso delle abilitazioni –. Chi supererà l’esame conclusivo potrà partecipare al concorso a cattedre, per il quale l’abilitazione è necessaria, e potrà entrare nella graduatoria di seconda fascia di istituto. Ma se il risultato non dovesse essere positivo, non ci sarà nessuna graduatoria di transito in cui spendere un’eventuale idoneità”. Insomma, l’essersi abilitato o meno sarà totalmente inutile ai fini di un lavoro stabile…. Nelle graduatorie a esaurimento ci sono oggi circa 200.000 persone, a queste si aggiungono i docenti non abilitati che però lavorano, 50-100.000 unità, a seconda dei periodi. Circa 250.000 docenti precari che prestano servizio a orario totale o parziale per periodi più o meno brevi. “Il primo obiettivo che dobbiamo porci – precisa Colangelo – è arrivare alla stabilizzazione della maggior parte di queste persone. Il problema rimangono tuttavia i numeri, visto che le assunzioni in ruolo sono considerate sui posti liberi in base ai pensionamenti, solo 20.000 il prossimo anno e senza considerare la modifica della legge sui pensionamenti dell’attuale governo. In base ai nostri calcoli, per assorbire tutti i precari, ci vorranno almeno 10 anni, non includendo nel computo i nuovi che si formeranno in questo lasso tempo. È ridicolo ipotizzare un’attesa del genere, se si pensa che ci sono persone precarie anche da più di un decennio”. La proposta della Flc per uscire dall’impasse è semplice: si vadano a individuare tutti quei posti che esistono negli organici di fatto e li si consolidi come organico di diritto – stiamo parlando di 35.000 insegnanti di sostegno, che rientrano in una clausola che già prevedeva la loro stabilizzazione nella misura del 70 per cento e il restante in deroga –. A questi si possono aggiungere i posti “non interi” di docenza, quelli con orari spezzati – circa 10.000 persone. Siamo così già a 45.000 posti recuperati, a cui vanno sommati altri 10.000 di organico funzionale (inseriti con il decreto semplificazioni), presente in ogni scuola. “Se si facesse questo – dice Colangelo –, lo svuotamento delle graduatorie verrebbe velocizzato e, con un piano pluriennale, si darebbe spazio anche a nuovi docenti”.

ItaliaOggi – 26 giugno 2012
“Legittimo reiterare i contratti di supplenza: è Cassazione”
░ Vanno in fumo le speranze di migliaia di insegnanti precari: niente assunzione e niente risarcimento, perché esporrebbe “la pubblica amministrazione ad uno sforamento di bilancio”. Di Antimo Di Geronimo. Adesso,l’ANIEF (e chi altri ha l’energia necessaria) chiederà alla Corte Europea se si fa disapplicare una norma UE da uno Stato membro.
La reiterazione dei contratti di supplenza è legittima. E dunque, i supplenti che sono stati fatti oggetto, ripetutamente, nel corso degli anni, di incarichi a tempo determinato, non hanno diritto né all'immissione in ruolo, né ad alcun'altra forma di risarcimento. Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di cassazione con la sentenza 10127 del 20 giugno scorso. Vanno in fumo definitivamente, dunque, le speranze di migliaia di docenti precari. Che, sulla scia di decine di sentenze favorevoli in primo grado, avevano instaurato un vero e proprio contenzioso seriale sulla questione. In ciò agevolati anche dall'apporto organizzativo di alcuni sindacati. D'altra parte il numero delle sentenze di I grado favorevoli era talmente alto, da indurre legittimamente all'ottimismo circa gli esiti di tali azioni. Specie nei tribunali dove i giudici monocratici si erano già espressi favorevolmente. E cioè nella maggior parte dei casi. In buona sostanza, dunque, era legittimo parlare di un vero e proprio orientamento giurisprudenziale. All'interno del quale si erano formate due correnti. Una prima corrente, minoritaria, incline a ritenere che a seguito della successione di contratti di supplenza fosse addirittura legittimo applicare la sanzione della conversione del rapporto. E una seconda corrente, maggioritaria, secondo la quale, ferma l'illegittimità della successione dei contratti di supplenza, la sanzione da applicare fosse quella pecuniaria, sotto forma di risarcimento danni. In quest'ultima corrente si distinguevano, inoltre, due orientamenti. Un primo orientamento, secondo il quale il risarcimento danni doveva essere corrisposto sotto forma di ricostruzione di carriera. E cioè versando ai precari ricorrenti le differenze retributive tra quello che avrebbero percepito se fossero stati immessi in ruolo dal primo momento e quello che avevano effettivamente percepito. E un secondo orientamento, incline a ritenere che la sanzione da applicare fosse quella della forfetizzazione: dalle 5 alle 20 mensilità di retribuzione. A un certo punto, però, i vari procedimenti sono arrivati davanti alle Corti d'appello e le cose hanno cominciato a mettersi male per i ricorrenti. Sebbene anche qui con alcune distinzioni. Alcuni collegi, infatti, hanno deciso per la piena legittimità della reiterazione dei contratti e dunque, per l'inesistenza del diritto al risarcimento. Altri, invece, si sono detti più possibilisti, perlomeno per il risarcimento in coincidenza della successione di supplenze annuali (fino al 31 agosto). Oppure per il diritto alla ricostruzione di carriera. Poi però è giunta una prima sentenza della Cassazione, che ha stabilito l'inesistenza del diritto alla ricostruzione di carriera per i precari (8060/2011, si veda Italia Oggi del 14 giugno 2011). E infine, qualche giorno fa, la Suprema corte è intervenuta in modo esaustivo su tutta la vicenda, fugando ogni dubbio (e ogni speranza). Secondo la sezione lavoro, la successione dei contratti di supplenza è legittima. Prima di tutto perché la disciplina del reclutamento del personale docente della scuola statale è regolato da una disciplina speciale, dettata dalla legge 124/99, dal decreto legislativo 297/94 e dai regolamenti sulle supplenze che si sono succeduti nel tempo, oltre ad altre fonti collettive. E quindi queste disposizioni derogano sia quelle previste dal decreto 368/2001, che si rivolge in generale a tutti i lavoratori, sia quelle contenute nel decreto 165/2001, che riguardano in generale il pubblico impiego. E poi perché la disciplina del reclutamento nella scuola è conforme al diritto comunitario in quanto la reiterazione dei contratti: «Risponde ad oggettive, specifiche esigenze, a fronte delle quali», si legge nella sentenza, «non fa riscontro alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola l'assegnazione». Pertanto, essendo legittima la reiterazione dei contratti di supplenza, non è dovuta alcuna forma di risarcimento a chi ne è fatto oggetto.

La Tecnica della scuola – 26 giugno 2012
“Il commento”
░ Un commento di Vito Cardella sulla applicazione, nel prossimo agosto, del D.I. 3 agosto 2011 “Programmazione triennale di assunzioni a t.i. di personale docente, educativo ed ATA, per il triennio 2011-2013”, emanato da MIUR, MEF e Dipartimento per le riforme e le innovazioni nella P.A.
Tre mesi prima di alzare le vele verso altri lidi, gli ex ministri Gelmini, Tremonti e Brunetta firmarono il decreto interministeriale del 3 agosto 2011 contenente la programmazione triennale delle nomine a tempo indeterminato del personale docente, educativo ed Ata della scuola per il triennio 2011-2014. Il decreto torna in auge in questi giorni alla luce delle preoccupazioni espresse da molti docenti precari che temono che la disposizione possa essere “dimenticata” per favorire le annunciate assunzioni in ruolo attraverso i concorsi. …Il decreto (“piano assunzionale”) prevede: a) per l’a.s. 2011/2012 l’assunzione in ruolo di 30.000 unità di personale docente ed educativo (di cui 10.000 con decorrenza giuridica del 2010/2011) e 36mila unità di personale Ata, ivi compresi i docenti dichiarati inidonei che avrebbero accettato di transitare nei profili professionali Ata. E questa prima parte del piano è stata realizzata, come tutti sappiamo; b) per gli anni scolastici 2012/2013 e 2013/2014, l’assunzione di 22.000 unità di personale docente ed educativo e 7.000 unità di personale dipendente Ata, per ciascuna dei due anni scolastici. Tali assunzioni, però, non sono tassative, sono “previste”, tenendo conto dei pensionamenti e dell’attuazione a regime del processo di riforma della scuola secondaria di secondo grado, previa verifica da parte del Miur, d’intesa con il Mef e la Funzione pubblica, della “concreta fattibilità del piano sul rispetto degli obiettivi programmati dei soldi di finanza pubblica”. Insomma, le nuove assunzioni potrebbero esserci fino ai limiti massimi di cui sopra, potrebbero essere ridotte e perfino non esserci affatto se non si realizzano tutte le condizioni cui sono soggette. In ogni caso, bisognerà attendere altre due cose: l’autorizzazione annuale del Mef e l’ultimazione di tutte le operazioni di mobilità, comprese le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie; cioè, verso la fine di luglio, se tutto va bene. Se il piano si realizzasse interamente, sarebbero 29mila tra docenti, personale educativo ed Ata i precari che troverebbero la sospirata stabilità nel prossimo anno; poca cosa, in verità.

la Republica.it – 29 giugno2012
“Accanto alla maestra un prof di religione a scuola 10 mila posti per laureati in teologia”
░ Salvo Intravaia scrive circa un Accordo Ministero-Cei; per effetto di esso, dal 2017 l’insegnamento RC sarà regolato in modo nuovo.
Fra pochi anni, per insegnare religione alle elementari occorrerà la laurea. Ieri mattina, il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e il presidente della Cei Angelo Bagnasco hanno firmato due intese che modificano completamente il quarto punto dell’accordo tra Stato e Chiesa sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. La novità riguarda i titoli che occorre possedere per questa disciplina. La nuova intesa, ha spiegato Profumo, prevede che per accedere all’insegnamento della religione cattolica in ogni ordine e grado di scuola si debba essere in possesso dei titoli accademici di baccalaureato, licenza o dottorato in teologia o in altre discipline ecclesiastiche oppure che si sia conseguita una laurea magistrale in scienze religiose secondo il nuovo ordinamento. Una novità che cambia poco o nulla nella scuola media e superiore, dove è già previsto un titolo di livello universitario, ma che nelle scuole dell’infanzia e primarie rischia di estromettere per sempre dall’insegnamento della religione le tante maestre che oltre a questa insegnano anche altre discipline. Il decreto numero 751 del 1985 stabiliva, infatti, che «nella scuola materna ed elementare l’insegnamento della religione cattolica può essere impartito dagli insegnanti del circolo didattico che abbiano frequentato nel corso degli studi secondari superiori l’insegnamento della religione cattolica, o comunque siano riconosciuti idonei dall’ordinario diocesano». E sono 18.915 le maestre che in virtù di questo dettato insegnano ai bambini religione, oltre che a leggere, a scrivere e a far di conto. Ma dal 2017 questo non sarà più possibile. In futuro, spiega Profumo, «verrà richiesto il conseguimento di un apposito master universitario di secondo livello in scienze religiose». Per il cardinale Bagnasco, l’intesa «migliorerà il Concordato del 1984 all’interno del processo di Bologna» sull’omologazione dei titoli accademici in base ai parametri Ue. Ma, con tutta probabilità, creerà ampi spazi agli specialisti di religione: quelli che insegnano soltanto questa disciplina per effetto del titolo e della certificazione di idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano. Saranno disposte, infatti, le quasi 19 mila maestre che insegnano anche religione a sobbarcarsi il master, in genere biennale, di cui parla Profumo? Se non lo facessero, per le maestre over 50 in questione cambierebbe poco: essendo insegnanti statali, le due ore settimanali all’elementare e le sessanta ore annue alla materna attualmente impartite verrebbero assegnate ad uno specialista gradito alla curia e a loro, al massimo, sarebbero assegnate ore in più per coprire l’orario di cattedra. Ma l’operazione aprirebbe le porte a un numero di specialisti di religione variabile fra le 10 e le 20 mila unità.