Precariato

Immesse in ruolo anziché andare in pensione: due bidelle assunte a 66 anni

Anief-Confedir: colpa di chi governa lo Stato, che continua a far prevalere le logiche di “cassa” anziché favorire il turn over e assumere i precari dopo tre anni di supplenze.

Nella scuola italiana tutto è possibile: anche essere assunti a 66 anni. È quanto accaduto a due collaboratrici scolastiche in servizio nella provincia di Modena, immesse in ruolo dopo un lungo precariato. Le due donne, nate del 1947, non ci speravano più. E come loro una collega, sempre emiliana, che ha firmato l’assunzione a tempo indeterminato a 65 anni. L’aspetto paradossale è che devono anche sentirsi fortunate, visto l’alto numero di dipendenti della scuola andati in pensione da precari e senza una ricostruzione di carriera: colpa di chi governa lo Stato, che continua a far prevalere le logiche di “cassa”, piuttosto che garantire un servizio formativo stabile, assumendo regolarmente il personale che negli anni ha acquisito professionalità ed esperienza. E così, a 66 anni, anziché recarsi all’Inps per sottoscrivere le pratiche della pensione, si accetta la proposta di assunzione.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “purtroppo siamo arrivati al punto che i tanti casi di ultrasessantenni assunti nella scuola, come quello della docente 62enne di educazione artistica del grossetano, tra l’altro costretta a rifiutare il ruolo perché la proposta su più scuole presentatagli dall’amministrazione era incompatibile con i suoi spostamenti, non dovrebbero più farci meravigliare: basti pensare che in un colpo solo, senza gradualità, grazie alla riforma Fornero, dal 1° gennaio 2012 tutte le dipendenti della scuola, che costituiscono oltre l’80% del personale docente e Ata, sono state costrette a rimanere in servizio fino a 66 anni e tre mesi di età”.

I numeri, in questi casi, indicano la situazione meglio di qualsiasi spiegazione: quest’anno sono stati collocati in pensione 10.860 docenti e 3.662 tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. Appena 14.522 lavoratori, un numero che corrisponde alla metà dei dipendenti pensionati del 2102 (lasciarono in 27.754), suddivisi tra 21.114 docenti e 5.338 Ata. E il dato odierno diventa ancora più clamoroso se si va a raffrontare con le cessazioni dal servizio del 2007, quando furono collocati in pensione più di 35mila dipendenti.

Se è vero che anche negli altri comparti, pubblici e privati, la situazione ha raggiunto livelli preoccupanti, con l’Istat che ha dichiarato il sorpasso dei precari rispetto ai dipendenti stabilizzati, la scuola continua ad essere il settore dove più degli altri si continua a derogare alla direttiva comunitaria, la 1999/70/CE, che da 13 anni impone ai Paesi che fanno parte dell’Ue di assumere tutti i lavoratori che hanno svolto 36 mesi di servizio nell’ultimo quinquennio. Per tenere i precari lontano dal ruolo si è fatto di tutto: dalle deroghe alle direttive Ue, a partire dalla Legge 106/2011, al taglio di 200mila posti solo negli ultimi sei anni; dalle classi-pollaio alla riduzione del tempo-scuola ai minimi termini e alla soppressione incostituzionale di 4mila istituti.

Esemplare, in questo senso, è la recente mancata immissione in ruolo di 3.730 Ata. Con il ripetersi dello 'scaricabarile' del 2012, quando per attendere la fine della vertenza su oltre 4mila docenti inidonei e quasi mille Itp titolari delle classi di concorso C999 e C555, che secondo il Governo Monti si sarebbero dovuti ‘declassare’ tra gli Ata, si è deciso di non decidere. L'assunzione dei circa 5.300 Ata, avvenuta nei giorni scorsi, seppur escludendo amministrativi e tecnici, sembrava un primo passo verso la normalizzazione del reclutamento del personale non docente della scuola. Ed ora, a distanza di un anno, la storia si ripete.

"Non si capisce – continua Pacifico - per quale motivo l'amministrazione, assistita dal Governo, non metta al primo posto le esigenze legate all'efficienza del servizio scolastico. Invece di incaponirsi su operazioni che mortificano tantissimi professionisti, in buona parte vittime di seri problemi di salute, anche derivanti da cause di servizio, utilizzandoli su ruoli a loro sconosciuti, perché non si impegna a produrre delle norme che rilancino la nostra scuola? Perché non si chiede cosa ha portato la Consulta a dichiarare incostituzionale il dimensionamento di 2mila istituti? Perché - conclude il sindacalista Anief-Confedir - non approfondisce i motivi che hanno convinto la Corte di Giustizia Europea ad avviare una procedura d'infrazione contro l'Italia per la mancata attuazione della normativa che tutela la stabilizzazione dei precari?".