La stampa scrive

L'Italia deve "migliorare equità ed efficienza" del suo sistema educativo, che "ha un basso rapporto tra qualità e costo e dovrebbe fare di più per migliorare le opportunità per i meno qualificati". Lo scrive l'Ocse nel suo rapporto 'Going for Growth' rilevando, in particolare, le poche risorse destinate al settore. L'Ocse bacchetta in particolare il nostro Paese per la spesa per l'istruzione "scesa ben al di sotto della media" e per i numerosi cambi, "tre in quattro anni", al vertice dell'agenzia per la valutazione della scuola.

ROMA - Gli studenti valuteranno gli insegnanti, dice il sottosegretario all''Istruzione Davide Faraone a "Repubblica". Dal prossimo anno scolastico nelle scuole superiori due milioni e mezzo di ragazzi tra i 15 e i 19 anni avranno a disposizione un questionario in cui, a fine stagione, giudicheranno i loro docenti: puntualità, chiarezza d''esposizione, efficacia della didattica. In ogni istituto, poi, gli studenti potranno eleggere un loro rappresentante che andrà a ricoprire uno dei cinque posti del nucleo di valutazione (gli altri quattro saranno affidati al preside e a tre insegnanti esperti). Il nucleo di valutazione scriverà il rapporto di autovalutazione annuale (Rav) della scuola, avrà voce sugli scatti di merito degli insegnanti e anche sull''anno di prova necessario per il neo-docente da stabilizzare.

L’Italia è ultima, tra gli Stati europei membri dell’Ocse, per spesa pubblica nell’istruzione in rapporto al Prodotto interno lordo. A certificarlo è l’Istat, nel tradizionale annuario statistico pubblicato nell’ultima settimana dell’anno, precisando che per la formazione dei giovani, in tutti i livelli del ciclo educativo, si investe il 4,6% del Pil. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

00459953.mp3  [l'intervento-commento di Marcello Pacifico, Presidente Anief, è compreso tra 00:42 e 01:20]

L’Italia è l’ultima della classe per spesa in istruzione. A questo poco lusinghiero dato si contrappone quello relativo alla Danimarca, lo Stato tra i Paesi europei dell’Ocse che investe maggiormente nella formazione, quasi l’8% del Pil. Investono nettamente più dell’Italia anche Stati duramente colpiti dalla recessione come Irlanda, Spagna e Portogallo. Sono sempre meno, inoltre, i giovani ad iscriversi all’università. Se nel 2003 erano quasi 73 gli immatricolati su 100 diplomati nel 2012 sono stati in media solo 55. Contestualmente, continuano a calare i lettori di libri e quotidiani. Il commento di Marcello Pacifico presidente di “Anief”, Associazione sindacale professionale, che ha analizzato i dati dell’Istat:

“l’Italia è l’ultima, è la ‘maglia nera’ di tutte queste classifiche. Basti pensare che dal 1995 ad oggi, ovvero negli ultimi 20 anni, non ha aumentato neanche di un euro la spesa per studente. I livelli italiani sono di 2 punti percentuali sotto la media dell’Ocse. Purtroppo, tutto questo è legato anche al taglio di 200 mila posti, al blocco degli stipendi, che è di 4 punti percentuali sotto dell’inflazione… Sono tutti dati negativi! E noi chiediamo a questo punto al governo di intervenire con urgenza per cambiare tutto questo stato di cose, altrimenti non potrà crescere il Paese!”.

Ma perché l’Italia continua a non investire nell’istruzione? La riflessione di Giuseppe Bertagna, docente di Pedagogia all’Università di Bergamo:

R. – Il perché – a mio avviso – è ciò che può risolvere la questione, perché noi non possiamo spendere mantenendo una struttura che non sia efficiente in tutti i suoi aspetti; quindi, è un problema di ricambiare la struttura. Non possiamo nemmeno immaginare, come si è immaginato, che tutti debbano andare all’Università per avere una formazione superiore, perché in tutti i Paesi esiste una formazione superiore non universitaria. La delusione che molti laureati provano perché non trovano lavoro oppure perché devono andare all’estero, oppure perché rimangono ad un livello di professionalità inferiore rispetto a quello che hanno maturato. E quello che hanno maturato è tale che corrisponde ad una analoga richiesta diposti che invece restano inutilizzati per professioni molto alte, molto interessanti ma che non sono quelle per cui l’università forma. Quindi è una carenza. E per ultimo, è che noi siamo riusciti in 40 anni ad espungere dalla mentalità collettiva l’idea che il lavoro sia un fortissimo giacimento culturale ed educativo che deve cominciare dai sei anni ed arrivare fino all’Università, e abbiamo - invece che “rotto” - “consolidato” il pregiudizio che studio e lavoro siano due alternative tra loro incompatibili. Oggi, invece, ci accorgiamo del contrario e, se vogliamo far cambiare il trend, dobbiamo per forza intervenire su questi tre segmenti.

La spesa nell’istruzione potrebbe comunque far registrare nei prossimi mesi significativi cambiamenti. L’Italia, dopo anni di tagli, nel 2014 ha aumentato il proprio bilancio per la formazione dello 0,6%. E per il 2015 è stato stanziato nella legge di stabilità un miliardo di Euro.

Fonte: Radio Vaticana