Eurosofia: formazione, innovazione e qualità. Tutta la nostra esperienza e il nostro entourage di formatori esperti per veicolare la rinascita dell’istituzione scolastica
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Scende il numero di studenti italiani iscritti nelle nostre scuole (- 115 mila), mentre sale quello degli alunni stranieri (+ 19 mila) facendo registrare un incremento annuale del 2,2% e di circa il 25% nell’ultimo decennio: sono circa 877 mila (10,3% della popolazione scolastica) su un totale di 8.484.000 allievi che lo scorso anno hanno frequentato le scuole del Paese, con un incremento importante degli alunni appartenenti alle cosiddette “seconde generazioni”. La presenza di giovani stranieri sui banchi – di cui quasi la metà è di origine europea - si registra soprattutto nel Settentrione: il 65,3% delle studentesse e degli studenti con cittadinanza non italiana è infatti concentrato nelle Regioni del Nord; il 22,2% è nel Centro; solo il 12,5% nel Sud. La Lombardia si conferma la Regione con il maggior numero di studenti di cittadinanza non italiana (224.089), che corrisponde ad oltre un quarto del totale presente in Italia (25,6%). I dati relativi all’anno scolastico 2019/2020 sono stati resi oggi dal ministero dell’Istruzione.
Secondo il sindacato Anief, la presenza sempre maggiore di alunni di origine non italiana è un ulteriore conferma di come nelle classi vi siano discenti che necessitano di una didattica personalizzata. “Se ai quasi 900mila alunni stranieri sommiamo i 300mila disabili, altrettanti Dsa e un numero probabilmente ancora più alto di studenti con Bisogni educativi speciali – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief - ci rendiamo conto che i nostri insegnanti si trovano quotidianamente a svolgere le lezioni a giovani con capacità di fruizione dei contenuti molto diversi se presi singolarmente. La scuola dell’autonomia nasce proprio per fare fronte a tali contesti, ma non è mai decollata, perché l’amministrazione centrale ha continuato ad imporre numeri e norme: avere un gruppo nutrito di alunni stranieri, come avviene in alcuni centri urbani del Centro-Nord, con il picco in territori come la Toscana e la Lombardia, non è compatibile con la loro presenza in un gruppo-classe complessivo di 25 e oltre di iscritti. Anche perché spesso vi sono anche disabili, Dsa e Bes. In queste condizioni, abbattere i numeri di composizione delle classi, eliminando così pure quelle sopra le 15-20 iscrizioni, non è più una scelta, ma un dovere. Non averlo fatto, ancora di più in tempo di Covid19, rappresenta – conclude Pacifico – un vero smacco al diritto all’istruzione. Con i miliardi del Pnrr si potrebbe certamente intervenire, a patto che lo si voglia”.
Sono 320mila i dipendenti pubblici che non si sono sottoposti a vaccinazione anti Covid19, “con percentuali estremamente variabili (anche 2 ordini di grandezza) tra un territorio e l’altro”, a fronte di un numero complessivo di poco superiore a 3,2 milioni: la stima è contenute nella Relazione illustrativa del Dpcm dello scorso 23 settembre con il quale il Governo Draghi ha introdotto il rientro in presenza nelle amministrazioni pubbliche a partire dal prossimo 15 ottobre. Nello stesso decreto, il Governo non affronta però le motivazioni che hanno portato “a decorrere dal 15 ottobre 2021”, seppure in modo “graduale”, alla “modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni” indicate nel decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001: il CdM non va oltre alla generica esigenza di “consentire alle amministrazioni pubbliche di operare al massimo delle proprie capacità”. Sempre secondo la Relazione illustrativa, il Green Pass obbligatorio è “una circostanza che rafforza la cornice di sicurezza del lavoro in presenza e che consente di rafforzare la necessità di superare la modalità di utilizzo del lavoro agile”.
“Viene da chiedersi – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – quali sono le misure di sicurezza per tutelare il personale alle dipendenze dello Stato che tornerà al lavoro in presenza. Come già accaduto nella scuola, dove si contano circa mille classi in quarantena e dad a pochi giorni dal ritorno all’attività didattica in classe, è dimostrato che il certificato verde obbligatorio non è uno schermo adeguato a non infettarsi dal Covid. Inoltre, viene da chiedersi come si possano lasciare a casa, sospesi e senza stipendio, oltre 300mila lavoratori pubblici ancora non vaccinati: molti di loro non si sono sottoposti alla vaccinazione per motivi di salute e di incompatibilità con il vaccino. Almeno per loro, non si poteva prevedere il mantenimento dello smart working, sul quale a marzo vi era stato anche un accordo applicativo con la parte pubblica sottoscritto all’Aran anche da Cisal?”.
La Nota di aggiornamento del Documento di Economia a Finanza 2021 è in linea con quella dello scorso anno: dall’attuale 3,9% di spesa, rispetto al Pil, dedicata all’Istruzione si scenderà progressivamente, nei prossimi due decenni, ad un misero 3,2%. E su quella stima si rimarrà fino al 2070! Per Anief è una previsione scandalosa: secondo il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico, “anziché allinearci con i Paesi europei e mondiali più avanzati, dove si spende per l’istruzione dei cittadini anche il doppio di quanto investiamo noi, si decide di fare l’esatto contrario. Confermando dunque l’italico assioma istruzione uguale spesa. Non ci siamo, pensavamo e lo speriamo ancora, che con i miliardi del Pnrr le cose cambiassero mentre il Def 2021 menziona il Recovery Fund solo per la riforma del reclutamento: i numeri e le percentuali emesse dal Mef ci dicono che la scuola e la formazione possono ancora una volta attendere, così manterremo le classi con numeri altissimi di alunni, le aule microscopiche, le sedi scolastiche autonome insufficienti, gli organici non all’altezza, il tempo scuola inadeguato. Con tutto quello che comporta sul fronte dell’apprendimento ridotto. Questa programmazione pluriennale, se confermata, costituisce un errore politico imperdonabile”.
Nel documento, inoltre, prima si sostiene che le risorse di bilancio serviranno per potenziare l’Istruzione e la Ricerca pubblica, ma poi le previsioni della spesa comportano un incremento dei costi di una serie di “voci” prioritarie, come le cure a lungo termine per i cittadini anziani, sarà compensato da riduzione dei fondi destinati proprio all’Istruzione. All’interno del paragrafo sull’Istruzione si citano solo le lauree abilitanti e l’alta formazione.
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