Precariato

Precariato: Anief chiede l’intervento del Presidente della Repubblica

Inviata una lettera di Pacifico al Presidente Napolitano dove si richiede un intervento perché si rappresenti agli On. Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato la necessità di una attenta valutazione sulla legittimità del Decreto Legge per lo Sviluppo economico recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri per il rischio di violazione degli articoli artt. 3, 10 e 11, 24, 111, 117 della Costituzione da parte dei commi 19 e 20 dell’articolo 9 (Scuola e merito).

 
Leggi la lettera al Presidente Napolitano
 
All’Onorevole Presidente della Repubblica
Palazzo del Quirinale
 
Oggetto: richiesta di intervento affinché si rappresenti agli On. Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato la necessità di una attenta valutazione sulla legittimità del Decreto Legge per lo Sviluppo economico recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, per il rischio di violazione degli articoli artt. 3, 10 e 11, 24, 111, 117 della Costituzione da parte dei commi 19 e 20 dell’articolo 9 (Scuola e merito).
 
Onorevole Presidente,

premesso che il Decreto Legge per lo Sviluppo economico di cui in oggetto prevede, al comma 19 art. 9 che “Il comma 14-bis dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124 si interpreta nel senso che i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente e Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (ATA), in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, né consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo, da attuarsi, sulla base delle graduatorie previste dalle disposizioni vigenti, esclusivamente su posti vacanti e disponibili, previa procedura autorizzatoria di cui all’articolo 39, comma 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni”, e al comma 20 art. 9 che “All’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: “4-bis. Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui alla legge 3 maggio 1999, n. 124, sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l’articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto”;

sebbene Ella, già in precedenti occasioni (ad esempio, in riferimento al D.d.L. 1441-quater-F nel 2010) sia autorevolmente intervenuto per sottolineare l’opportunità “di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse […] che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi […]”;

considerato che la norma segnalata rischierebbe di intervenire su numerosissimi processi in corso in ordine alla illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato stipulati per il personale docente ed Ata, in contravvenzione a quanto disposto dall’Unione Europea con la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato;

considerato che, sul principio introdotto dalla norma di cui ai commi 19 e 20 art. 9 si è già espressa la Corte di Giustizia Europea (sentenza della Grande Sezione del 4.7.2006, causa C-212/04 Adelener);

Le chiedo, nell’esercizio delle sue funzioni di controllo e di garante, di valutare la possibilità di rappresentare agli On. Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato la necessità di una attenta valutazione sulla legittimità del Decreto Legge per lo Sviluppo economico recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, per il rischio di violazione degli artt. 3, 10 e 11, 24, 111, 117 della Costituzione da parte dei commi 19 e 20 dell’articolo 9.

Si allega estratto della sentenza della Grande Sezione del 4.7.2006, causa C-212/04 Adeneler.

L’occasione è gradita per rinnovarLe cordiali saluti.

Roma, 10 maggio 2011

Il Presidente Nazionale ANIEF

Prof. Marcello Pacifico

 

Estratto della sentenza della Grande Sezione del 4.7.2006, causa C-212/04 Adeneler

[…]

La causa principale e le questioni pregiudiziali

24     Dal fascicolo trasmesso alla Corte dal giudice del rinvio risulta che i ricorrenti nella causa principale, che esercitano le professioni di addetti al prelievo di campioni, di segretari, di tecnici e di veterinari, hanno stipulato, a partire dal maggio 2001 e prima del termine ultimo entro il quale la direttiva 1999/70/CE avrebbe dovuto essere recepita nell’ordinamento giuridico ellenico, vale a dire il 10 luglio 2002, con l’ELOG, persona giuridica di diritto privato appartenente al settore pubblico con sede a Salonicco, diversi contratti di lavoro a tempo determinato successivi, gli ultimi dei quali sono scaduti tra il giugno e il settembre 2003 senza essere rinnovati (in prosieguo: i «contratti controversi»). Ciascuno di tali contratti, sia il contratto iniziale sia ogni contratto successivo, era stipulato per una durata di 8 mesi e tra i diversi contratti intercorrevano periodi di durata variabile tra un minimo di 22 giorni e un massimo di 10 mesi e 26 giorni. I ricorrenti nella causa principale venivano ogni volta riassunti per occupare lo stesso posto di lavoro per il quale era stato stipulato il contratto originario. Tutti i lavoratori interessati erano titolari di un siffatto contratto a tempo determinato alla data di entrata in vigore del decreto presidenziale n. 81/2003.
 
25     A seguito del mancato rinnovo dei loro contratti di lavoro gli interessati risultano disoccupati ovvero provvisoriamente occupati presso l’ELOG a seguito di provvedimenti giudiziari d’urgenza.
 
26     I ricorrenti nella causa principale hanno pertanto adito il Monomeles Protodikeio Thessalonikis al fine di far dichiarare che i contratti controversi devono essere considerati come contratti di lavoro a tempo indeterminato, in conformità all’accordo quadro. A tale effetto essi rilevano di aver fornito all’ELOG prestazioni regolari corrispondenti a «fabbisogni permanenti e durevoli», ai sensi della normativa nazionale, di sorta che la conclusione successiva di contratti di lavoro a tempo determinato con il loro datore di lavoro era abusiva, poiché nessuna ragione obiettiva giustificava il divieto, previsto nell’art. 21, n. 2, della legge n. 2190/1994, di trasformare i rapporti di lavoro controversi in contratti di lavoro a tempo indeterminato.
 
27     Secondo il giudice del rinvio, una siffatta riqualificazione dei contratti controversi costituisce condizione necessaria alla decisione in merito ad ulteriori domande dei ricorrenti della causa principale, quali la loro reintegrazione e il pagamento dei loro arretrati salariali.
 
28     Il giudice del rinvio, ritenendo che la clausola 5 dell’accordo quadro conferisca agli Stati membri un ampio potere discrezionale per il suo recepimento nell’ordinamento giuridico interno di questi ultimi e non abbia carattere sufficientemente preciso e incondizionato per avere un’efficacia diretta, si chiede innanzitutto a partire da quale data, in caso di tardiva attuazione della direttiva 1999/70/CE, il diritto nazionale debba essere interpretato in conformità a quest’ultima. Egli indica a tal proposito diverse date, vale a dire quella della pubblicazione della detta direttiva nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, che corrisponde alla data di entrata in vigore di quest’ultima, quella della scadenza del termine di attuazione e quella di entrata in vigore del decreto presidenziale n. 81/2003.
 
29     Egli si interroga inoltre sulla portata della nozione «ragioni obiettive» ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro, che possono giustificare il rinnovo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato, tenuto conto dell’art. 5, n. 1, lett. a), del decreto presidenziale n. 81/2003 che consente il rinnovo illimitato dei contratti di lavoro a tempo determinato, in particolare quando la durata determinata sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare.
 
30     Il giudice del rinvio si chiede altresì se le condizioni di rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato, quali risultanti dal combinato disposto dei nn. 3 e 4 dell’art. 5 del decreto presidenziale n. 81/2003, siano conformi al principio di proporzionalità e all’effetto utile della direttiva 1999/70/CE.
 
31     Infine, dopo aver constatato che il ricorso, nella prassi, all’art. 21 della legge n. 2190/1994 per giustificare la conclusione di contratti di lavoro di diritto privato a tempo determinato quando tali contratti hanno la finalità di soddisfare «fabbisogni permanenti e durevoli» è abusivo, il giudice del rinvio si chiede se in un’ipotesi siffatta il divieto enunciato al n. 2, ultima frase, del detto art. 21 di trasformare contratti conclusi a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, pregiudichi l’effetto utile del diritto comunitario e se esso sia conforme alla finalità enunciata nella clausola 1, lett. b), dell’accordo quadro, che mira a prevenire gli abusi risultanti dal ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
 
32     In tale contesto, il Monomeles Protodikeio Thessalonikis ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, nella versione rettificata dalla decisione di quest’ultimo in data 5 luglio 2004:
«1)      Se il giudice nazionale debba interpretare il proprio diritto nazionale – nei limiti del possibile – in modo conforme ad una direttiva tardivamente recepita nell’ordinamento giuridico interno
 
a)      dal momento in cui la direttiva sia entrata in vigore, oppure
 
b)      dal momento in cui il termine per recepire la direttiva nell’ordinamento interno sia scaduto senza che tale recepimento sia avvenuto, o
 
c)      dal momento in cui il provvedimento nazionale di recepimento sia entrato in vigore.
 
2)      Se la clausola 5, n. 1, lett. a) dell’accordo quadro (…) debba essere interpretata nel senso che una ragione obiettiva per il ripetuto rinnovo o per la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, al di là dei motivi che dipendono dalla natura, dal tipo, dalle caratteristiche del lavoro prestato e da altre ragioni analoghe, sia rappresentata dal semplice fatto che la stipulazione di un contratto a tempo determinato sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare
 
3)      a)     Se una disposizione nazionale come l’art. 5, n. 4, del decreto presidenziale n. 81/2003, la quale precisa che contratti di lavoro successivi sono quelli stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore con condizioni di lavoro identiche o simili e intervallati da un lasso temporale non superiore a 20 giorni, sia conforme alla clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro (…).
 
b)      Se la clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro (…) possa essere interpretata nel senso che la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore e il suo datore di lavoro possa presumersi soltanto quando sia soddisfatta la condizione stabilita dalla disposizione di diritto interno di cui all’art. 5, n. 4, del decreto presidenziale n. 81/2003;
 
4)      Se il divieto di conversione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratti a tempo indeterminato previsto dalla disposizione di diritto interno di cui all’art. 21 della legge n. 2190/1994, sia compatibile con il principio dell’effettività del diritto comunitario e con la finalità del combinato disposto dalle clausole 5, nn. 1 e 2, e 1 dell’accordo quadro (…), qualora tali contratti vengano sì stipulati a tempo determinato per soddisfare un bisogno straordinario o stagionale del datore di lavoro, ma con il fine di far fronte ad un suo fabbisogno permanente e durevole».
 
[…]
 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
 
1)      La clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro. Al contrario, la nozione di «ragioni obiettive» ai sensi della detta clausola esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di lavoro, quale previsto dalla normativa nazionale, sia giustificato dall’esistenza di elementi concreti relativi in particolare all’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio.
 
2)      La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo indeterminato deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, quale quella controversa nella causa principale, la quale stabilisce che soltanto i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato non separati gli uni dagli altri da un lasso temporale superiore a 20 giorni lavorativi devono essere considerati «successivi» ai sensi della detta clausola.
 
3)      In circostanze quali quelle di cui alla causa principale, l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato non preveda, nel settore considerato, altra misura effettiva per evitare e, nel caso, sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi, il detto accordo quadro osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta in maniera assoluta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato che, di fatto, hanno avuto il fine di soddisfare «fabbisogni permanenti e durevoli» del datore di lavoro e devono essere considerati abusivi.
 
4)      Nell’ipotesi di tardiva attuazione nell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato di una direttiva e in mancanza di efficacia diretta delle disposizioni rilevanti di quest’ultima, i giudici nazionali devono nella misura del possibile interpretare il diritto interno, a partire dalla scadenza del termine di attuazione, alla luce del testo e della finalità della direttiva di cui trattasi al fine di raggiungere i risultati perseguiti da quest’ultima, privilegiando l’interpretazione delle disposizioni nazionali che sono maggiormente conformi a tale finalità, per giungere così ad una soluzione compatibile con le disposizioni della detta direttiva.