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L’istituto di statistica ha segnalato che nel 2011 si è ridotto il numero di iscrizioni alle superiori e di immatricolazioni all’università. La colpa è soprattutto degli ultimi Governi, che hanno fatto a gara nell’applicare tagli alla Conoscenza e investire sempre meno nella formazione dei cittadini. Esemplare la decisione di escludere dai concorso pubblico per docenti tutti i laureati negli ultimi dieci anni. Non è poi un caso se cresce la disoccupazione intellettuale.

I dati Istat 2011 su lavoro e istruzione, resi pubblici nelle ultime ore, sono davvero preoccupanti: dimostrano che in Italia il quadro non è solo stagnante, ma sta peggiorando di anno in anno. Ormai un giovane ogni tre con meno di 35 anni è privo di occupazione. E comincia a subentrare la sfiducia nella formazione superiore e specialistica: si riduce, infatti, il numero di iscrizioni alle scuole medie di secondo grado e di immatricolazioni all’università.

Secondo il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, “è impossibile negare il nesso logico che si è venuto a determinare tra la sempre più modesta considerazione sociale verso l’istruzione superiore-universitaria e lo scarso investimento dei Governi degli ultimi anni nei confronti dell’istruzione pubblica e universitaria. È un dato emblematico. Perché uno Stato che non investe nella scuola, non si capisce perché dovrebbe investire nelle famiglie”.

Ma l’Istat ci dice anche che la disoccupazione sta anche diventando sempre più di tipo intellettuale: i laureati tra i 25 e i 29 anni che non lavorano sono infatti il 16 per cento, mentre i diplomati della stessa fascia d’età privi di occupazione si fermano al 12,6 per cento. “È un altro dato su cui bisognerebbe far riflettere i nostri parlamentari – sostiene Pacifico – perché mentre in Italia non valorizziamo coloro che conseguono i titoli di studio più elevati, mettendo anche ciclicamente in discussione il loro valore legale, nei Paesi europei più sviluppati avviene esattamente l’opposto. Con incentivi sia sul fronte della formazione, sia in fase di spendibilità del diploma. Questi Paesi sanno bene che un basso tasso di scolarizzazione è quasi sempre l’anticamera dell’emarginazione sociale”.

Anche le scelte scellerate del Ministero dell’Istruzione di chiudere il concorso a cattedra ai laureati degli ultimi dieci anni è davvero un brutto segnale: “in questo modo – continua il presidente dell’Anief – il Miur ha letteralmente tarpato le ali a centinaia di migliaia di giovani che hanno investito nello studio. E a cui si dice, senza nemmeno il supporto di una norma, che si devono accomodare in sala di attesa. E che dire, passando al livello universitario, della cancellazione della preziosa figura del ricercatore? Oppure della maggiore valutazione, in fase concorsuale per diventare docenti accademici, delle ricerche numericamente maggiori e non di quelle di alto spessore qualitativo? È questa la nuova linea del merito?”.

 

Le indagini internazionali Pirls e Timss ci dicono che i nostri giovani sono sempre meno preparati: anche la primaria, il fiore all’occhiello della scuola italiana, perde diverse posizioni nella classifica che mette a confronto l’istruzione dei vari Paesi. L’unico modo per evitare il tracollo formativo è tornare in fretta al sistema scolastico pre-Gelmini. Il Governo e il Parlamento che verranno non hanno scelta: le norme introdotte con le Leggi 133/2008 e 169/2008 vanno cancellate.

I rapporti internazionali sulla preparazione dei nostri alunni non lasciano più adito a dubbi: dopo l'indagine Pisa, condotta dell'Ocse, ora anche le indagini Pirls (Progress in international reading literacy study) e Timss (Trends in international mathematics and science study) ci dicono che le riforme della scuola introdotte in Italia negli ultimi anni hanno fatto fare più di un passo indietro al nostro sistema d’istruzione.

È tutto dire che anche la scuola primaria, che da decenni si contraddistingueva per la qualità della didattica e dei risultati conseguiti, è scivolata indietro nelle classifiche che mettono a confronto i vari Paesi: è soprattutto preoccupante il dato sulla riduzione di capacità e competenze acquisite dei nostri alunni iscritti alle quarte classi della primaria, che in base alla risultanza dei test svolti hanno perso ben 10 posizioni.

È ormai sempre più evidente che mentre gli ultimi quattro Governi varavano finanziarie e leggi di stabilità che penalizzavano la scuola, con l’intento di sanare dei debiti e una crisi di cui i nostri alunni e docenti non avevano alcuna responsabilità, il sistema d’istruzione italiano perdeva colpi. E chi sosteneva il contrario ora si dovrà ricredere: i dati internazionali, per definizione super partes, lo indicano in modo netto.

“Se non si cambia registro – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief – rischiamo di penalizzare i nostri giovani doppiamente. Primo, perché crescendo avranno difficoltà oggettive per i noti problemi di occupazione. Secondo, perché dovranno fare i conti con una preparazione culturale modesta. Non c’è tempo da perdere: il nuovo Governo e il Parlamento che si verranno a formare devono sapere che occorre il prima possibile cancellare le norme introdotte con le Leggi 133/2008 e 169/2008, che in pochi mesi hanno cambiato il sistema organizzativo, orario e valutativo del fiore all’occhiello della scuola italiana”.

Per tutti questi motivi, l’Anief sostiene che occorre tornare all’antico. Reintroducendo, dunque, il docente specializzato nell’insegnamento della lingua inglese, anziché affidare la materia a maestri improvvisati. Ma anche ristabilendo il tempo pieno e le preziose ore di copresenza, esattamente come accadeva prima della riforma. Quando era possibile rinforzare nuovi concetti e conoscenza, senza lasciare indietro gli alunni più in difficoltà o con tempi di apprendimento più lenti. Solo in questo modo potremo tornare a parlare di scuola di qualità. Una scuola includente, tutti e ciascuno, senza rischiare di scivolare in pericolose derive classiste.

 

Aran: per la prima volta anche il pubblico impiego perde tessere sindacali. La Scuola in controtendenza (+2%). Per l'Anief l'incremento maggiore: da zero a 8.623 deleghe.

Anche il pubblico impiego deve fare i conti con la riduzione di tessere sindacali: a sostenerlo è l’Aran, che attraverso un dettagliato rapporto evidenzia come rispetto alla precedente rilevazione, del 2008-2009, tutti i comparti pubblici hanno fatto registrare una riduzione di deleghe, anche a due cifre. La scuola è andata però in controtendenza, con un incremento del 2 per cento: le tessere dei lavoratori sono passate da 536.113 a 547.158. Con la Cisl che ne ha perse circa 2mila e lo Snals oltre 10mila. Gli aumenti sono stati fatti registrare dalla Flc-Cgil, con 4mila deleghe in più rispetto a quattro anni prima, dalla Uil (più 7mila), ma soprattutto dall’Anief: il giovane sindacato autonomo, nato nel 2008, è passato da zero a 8.623 tessere.

Secondo Marcello Pacifico, confermato nello scorso week end presidente dell’Anief, “il fatto che la scuola risulti in controtendenza rispetto all’allontanamento dei lavoratori pubblici verso il sindacato, si deve al sensibile calo dei dipendenti del comparto istruzione. Un decremento che va oltre il 7,7 per cento rilevato dall’Aran”.

“Bisogna infatti considerare - continua Pacifico - i tanti posti dei precari scomparsi a seguito dell’applicazione della Legge 133 del 2008: in tutto si sono dileguati 200mila posti di lavoro, tra docenti e Ata. E nessun settore ha perso così tanti dipendenti. È normale che a fronte di questa assurda penalizzazione, non ravvisata in nessuna altro Paese al mondo, si sia prodotto una aumento di tessere sindacali: riducendosi il totale di lavoratori del comparto, il calo di tessere è stato infatti compensato”.

Ma ci sono anche altre motivazioni. Come la fiducia che oltre 8.600 docenti e Ata hanno riposto nell’Anief: “un sindacato, l’unico nella scuola a far registrare questo aumento, che ispirandosi ad una visione transnazionale dei diritti dei lavoratori, si è posto come seria alternativa ai sindacati tradizionali di potere o di base. I docenti e il personale Ata hanno compreso inoltre l’importanza di non essere connotati ideologicamente. E di essere, invece, orientati prima di tutto alla tutela dei diritti. Attraverso il sapiente ricorso alla magistratura e prodigandosi - conclude il suo presidente – attraverso proposte serie e condivise, rivolte direttamente ai legislatori che operano nelle aule parlamentari”.

 

Il I Congresso nazionale ANIEF, tenutosi l’8 dicembre a Cefalù (PA), ha visto la rielezione per acclamazione di Marcello Pacifico alla carica di presidente nazionale.

Il Congresso, inoltre, ha approvato all’unanimità il documento di programmazione dell’attività sindacale dell’ANIEF per il quadriennio 2013-2016, che dona un respiro europeo all’azione del giovane sindacato.

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Marcello Pacifico rieletto per acclamazione presidente Anief fino al 2016. Confermato all’unanimità al termine del primo Congresso nazionale svolto a Cefalù: “continueremo ad esercitare il ruolo di guardiani della lex, di fronte all’arbitrio o alla contingenza, attraverso il costante e sapiente ricorso alla giustizia”.

Marcello Pacifico sarà il presidente nazionale dell’Anief anche nel quadriennio 2013-2016. La conferma è arrivata per acclamazione, a conclusione del primo Congresso nazionale svolto a Cefalù, in provincia di Palermo, dove sono confluiti i delegati del sindacato nato quattro anni fa. Il Congresso ha approvato, sempre all’unanimità, il documento di programmazione dell’attività sindacale dell’Anief per il quadriennio 2013-2016: un documento che dona un respiro fortemente europeo all’azione del giovane sindacato.

“È giunto il momento di allestire anche in Italia - ha detto Pacifico durante la presentazione del suo ‘Manifesto’ – un sindacato moderno di ispirazione europea che intenda pensare e sviluppare un neoumanismo sindacale. Un sindacato che parta dalla tutela dei diritti acquisiti, dal civis europensis e punti a cancellare la filosofia imperante dei privilegi e dei corporativismi”.

Grazie a questi principi, a soli quattro anni dalla sua nascita il sindacato è diventato tra i più rappresentativi della scuola per numero di deleghe. Ora, però, per raggiungere questo risultato è fondamentale che la scuola torni ad essere interlocutrice principale e partecipe della vita pubblica, ripristinandone valore, rispetto e considerazione. Mentre gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una assurda politica dei tagli, che ha portato alla cancellazione di 200mila posti tra docenti e personale Ata, e dal primato italiano per numero di insegnanti con età superiore a 50 anni e per la quasi totale mancanza di docenti under 30.

“Per arrestare questi processi – ha detto Pacifico - sarà indispensabile tornare a riconoscere l’importanza dell’alta professionalità della funzione docente e riportare l’Italia agli standard dell’Ue per investimenti nel settore della conoscenza. Ad iniziare dalla cancellazione della precarietà lavorativa, come ordinario strumento di organizzazione del lavoro. Se il governo non intenderà adeguarsi spontaneamente alle indicazioni di Bruxelles, come è accaduto sinora, continueremo infatti ad esercitare il ruolo di guardiani della lex, di fronte all’arbitrio o alla contingenza, attraverso il costante e sapiente ricorso alla giustizia”.

Pacifico ha quindi insistito sulla necessità combattere gli abusi nella reiterazione dei contratti a tempo determinato e la mancanza di pieno riconoscimento dei periodi di pre-ruolo ai fini degli scatti stipendiali: una battaglia che lo ha portato nei giorni scorsi a depositare una denuncia circonstanziata a Bruxelles, negli uffici della Commissione.

Tutti i delegati dell’Anief hanno quindi sposato la piattaforma del suo presidente, che ha insistito sulla necessità di costruire una nuova paideia socio-politica della scuola, che richiami il legislatore all’insopprimibile esigenza di porre maggiore attenzione al rispetto della Costituzione della Repubblica e del diritto europeo. “Necessità che in Italia – ha sottolineato Pacifico - sembra non trovare riscontro, mentre, ad esempio, in Brasile sono stati assegnati alla scuola i proventi del settore petrolifero. E negli Stati Uniti ed in Germania si continua ad investire nella scuola malgrado la crisi internazionale”.