La stampa scrive

"Il ministro dell'Istruzione deve essere stato informato male: non e' possibile utilizzare la nuova normativa sui 'Bisogni Educativi Speciali' per ridurre da 101 mila a 90 mila le cattedre di sostegno, operando un taglio di 11 mila docenti. Affidare un ragazzo con problemi di apprendimento, seppure non gravi, ad un insegnante non specializzato comporta infatti un'operazione illegittima, che i genitori possono facilmente impugnare per far avere ai propri figli l'adeguata assistenza allo studio".

Cosi' Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri, commenta le intenzioni espresse dal ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, di adottare l'ultima direttiva ministeriale in materia di sostegno alla disabilita' e fragilita' degli studenti.

"Se il Miur attuera' una riduzione di diverse migliaia di cattedra di sostegno – afferma Pacifico - il nostro sindacato ricorrera' sicuramente al Tar: in base alla normativa in vigore, infatti, gli insegnanti curricolari possono affrontare solo i bisogni educativi speciali che non sono stati certificati dalle autorita' sanitarie. Non si puo', inoltre, barattare l'aumento dell'organico di diritto con la riduzione dell'organico complessivo. L'organico di diritto - conclude - dovrebbe corrispondere infatti agli oltre 100mila attuali posti e questo garantirebbe di mantenere in vita il rapporto di un docente ogni due alunni con disabilita' previsto dalla legge".

Fonte: Italpress

 

Il ministro dell'Istruzione è "pronta a tagliare 11 mila docenti di sostegno, ma i diritti dei disabili non si possono barattare". Lo denuncia l'Anief annunciando di essere pronta a ricorrere al Tar.

"Il ministro dell'Istruzione deve essere stato informato male: non è possibile utilizzare la nuova normativa sui 'Bisogni Educativi Speciali' per ridurre da 101 mila a 90 mila le cattedre di sostegno, operando un taglio di 11 mila docenti. Affidare un ragazzo con problemi di apprendimento, seppure non gravi, a un insegnante non specializzato comporta infatti - spiega il presidente dell'associazione Marcello Pacifico - un'operazione illegittima, che i genitori possono facilmente impugnare per far avere ai propri figli l'adeguata assistenza allo studio". "Se il Miur attuerà una riduzione di diverse migliaia di cattedra di sostegno - avverte Pacifico - il nostro sindacato ricorrerà sicuramente al Tar: in base alla normativa in vigore, infatti, gli insegnanti curricolari possono affrontare solo i bisogni educativi speciali che non sono stati certificati dalle autorità sanitarie. Non si può, inoltre, barattare l'aumento dell'organico di diritto con la riduzione dell'organico complessivo. L'organico di diritto dovrebbe corrispondere infatti agli oltre 100mila attuali posti e questo garantirebbe di mantenere in vita il rapporto di un docente ogni due alunni con disabilità previsto dalla legge".

Per l'Anief è "inconcepibile l'idea del Miur di concedere l'immissione in ruolo di una parte di questi docenti chiedendo la sparizione di una parte di loro. E tirare in ballo la circolare del 27 dicembre 2012 per giustificare la mancata assegnazione di un docente specializzato nel sostegno a un alunno con problemi di apprendimento non ha assolutamente senso: l'assegnazione di adeguato supporto ai disabili, compresa l'entità delle ore di sostegno - osserva - è un impegno formale che va necessariamente affidata ad un insegnante formato per questo scopo. E a sostenerlo non è l'Anief, ma le leggi che si sono susseguite negli anni. A partire dalla L. 104/1994 e della L. 296/2006, oltre che da varie sentenze, come quelle dalla Corte Costituzionale n. 80 del 2010, secondo cui i bisogni speciali debitamente certificati non possono essere delegati agli insegnanti delle materie curricolari".

Fonte: ANSA

 

"Anief lo aveva detto in tempi non sospetti: il modello voluto dall'ex ministro Profumo avrebbe comportato una chiara lesione ai diritti dei neo-diplomati". E' quanto si legge in una nota dell'Anief.

Il presidente Anief, Marcello Pacifico, "indica la strada da percorrere: cancellare il decreto n. 21/2008, abolire il numero chiuso, potenziare l'orientamento, introdurre monitoraggi periodici, elevare l'obbligo formativo sino alla fine della scuola superiore. Oggi le nuove modalita' cervellotiche introdotte all'ultimo momento dall'ex ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, per selezionare i candidati ai corsi universitari a numero chiuso sono state sapientemente stoppate dal nuovo ministro Maria Chiara Carrozza. La quale, oltre ad aver ristabilito le canoniche date di inizio settembre, sarebbe anche in procinto di firmare un nuovo decreto sulle modalita' delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'a.a. 2013/14. Ancora una volta aveva ragione l'Anief, che in tempi non sospetti si era subito espressa contro "un'operazione destinata a realizzare l'obiettivo opposto a quel che ci chiede l'Unione Europea, ovvero elevare il prima possibile il numero di studenti che raggiungono un alto titolo di studio".

Il giovane sindacato ritiene che con la decisione presa oggi dal ministro Carrozza, si evita finalmente di discriminare gli studenti dell'ultimo anno della scuola superiore: introdurre un test immediatamente dopo la conclusione degli Esami di Stato, senza permettere loro di prepararsi adeguatamente alla selezione, avrebbe rappresentato una chiara lesione al diritto allo studio costituzionalmente garantito".

"Se pero' ora il ministro vuole completare la sua lodevole iniziativa avviata oggi - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri – dovrebbe anche rivedere il decreto 'madre', il n. 21 del 2008, che ha introdotto il bonus da assegnare solo agli studenti che conseguono un elevato punteggio alla maturita': si tratta di un'operazione chiaramente discriminatoria perche' non tiene conto delle particolarita' dei vari corsi, oltre che del tessuto sociale e familiare dove sono collocati".

"Per superare del tutto questa condizione, che ci continua a tenere lontani dai migliori modelli formativi terziari europei - conclude Pacifico - , Anief torna a chiedere l'abolizione del numero chiuso. E nel contempo l'avvio di veri percorsi di orientamento per tutte le classi terminali delle scuole superiori, affidandoli a studenti-senior e ricercatori esperti che operino come tutor, assieme a dei monitoraggi periodici per l'accesso ai corsi universitari”.

Fonte: Italpress

 

"Nel pubblico impiego c'e' una categoria professionale che piu' delle altre ha motivo di lamentarsi per avere a fine mese delle buste paga sempre piu' modeste: sono gli insegnanti e il personale del Miur, i quali nel 2012 hanno percepito mediamente 39.436 euro, contro i 43.533 dei colleghi del ministero del Lavoro, i 48.296 di quelli del ministero delle Politiche agricole e i 57.799 euro del ministero della Salute.

La 'classifica' e' stata realizzata dalla Ragioneria generale dello Stato, che ha anche rilevato una riduzione complessiva per la spesa dei dipendenti pubblici del 2,21%".

"I risparmi di spesa, piuttosto che essere indirizzati sui costi della politica, sulle consulenze e sugli strumenti che forniscono i servizi – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri - si abbattono orami sistematicamente per una precisa scelta dei governanti sugli stipendi del personale del pubblico impiego. Che, infatti, dal 2010 sono stati bloccati. Ma i veri 'agnelli sacrificali' sono gli insegnanti ed il personale non docente della scuola, a cui la legge ha sottratto gli scatti automatici, i quali corrispondono alla loro unica strada per accedere a degli incentivi legati alla carriera".

Fonte: Italpress

 

Nel pubblico impiego c'è una categoria professionale che più delle altre ha motivo di lamentarsi per avere a fine mese delle buste paga sempre più modeste: sono gli insegnanti e il personale del Miur, i quali nel 2012 hanno percepito mediamente 39.436 euro, contro i 43.533 dei colleghi del ministero del Lavoro, i 48.296 di quelli del ministero delle Politiche agricole e i 57.799 euro del ministero della Salute.

La "classifica" è stata realizzata dalla Ragioneria generale dello Stato - e riportata dall'Anief, Associazione professionale sindacale - che ha anche rilevato una riduzione complessiva per la spesa dei dipendenti pubblici del 2,21%. "I risparmi di spesa, piuttosto che essere indirizzati sui costi della politica, sulle consulenze e sugli strumenti che forniscono i servizi - sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri - si abbattono orami sistematicamente per una precisa scelta dei governanti sugli stipendi del personale del pubblico impiego. Che, infatti, dal 2010 sono stati bloccati. Ma i veri 'agnelli sacrificali' sono gli insegnanti ed il personale non docente della scuola, a cui la legge ha sottratto gli scatti automatici, i quali corrispondono alla loro unica strada per accedere a degli incentivi legati alla carriera".

Fonte: ANSA

 

Le immissioni in ruolo che andrebbero attuate entro il 2017 sono 130 mila e non 44 mila. Lo afferma l'Anief che apprezza comunque il nuovo piano triennale di assunzioni 2014-2017 annunciato ieri dal ministro Carrozza presentando le linee programmatiche del suo dicastero.

"Il nostro sindacato - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief - ritiene il dato fornito fortemente sottostimato, poiché in realtà sono 120 mila i posti che si renderanno disponibili tra il prossimo anno e il 2017. Il calcolo è presto fatto: all'inizio dell'attuale anno scolastico erano, infatti, ben 80 mila i posti di docenti e Ata vacanti disponibili su posti vacanti, a cui vanno aggiunti almeno altri 40-50 mila dipendenti della scuola che saranno collocati in pensione. Solo in questo modo, coprendo tutti i posti vacanti, l'amministrazione potrà evitare ulteriori contenziosi che ormai sempre più frequentemente la condannano a rimborsare i precari per i danni economici e morali loro arrecati a seguito delle mancate assunzioni".

Anief ritiene fattibile anche il piano di revisione della carriera per gli insegnanti al quale suggerisce di accompagnare il ripristino degli scatti sinora bloccati e l'adeguamento degli stipendi all'attuale costo della vita. "Anche a livello internazionale il confronto non regge, visto che l'Ocde ci ha fatto sapere di recente che un docente, che opera nell'area dei Paesi che vi aderiscono, a fine carriera arriva a guadagnare - osserva Pacifico - sino a 8mila euro l'anno in più di quanto percepisce un insegnante italiano nella stessa condizione". D'accordo anche con l'intenzione del ministro di semplificare e disboscare la giungla normativa attualmente esistente.

Fonte: ANSA

 

Anief non puo' che "apprezzare" le intenzioni pronunciate oggi dal ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, durante la presentazione delle linee programmatiche del suo dicastero alle commissioni Istruzioni e Cultura di Camera e Senato.

Il sindacato si dice d'accordo con il ministro quando dice che e' "opportuno varare un nuovo piano triennale di assunzioni per il 2014-17", ma dissente quando sostiene che nello stesso triennio "e' previsto un turn-over complessivo di 44.000 unita'".

Per Marcello Pacifico, presidente Anief, "il nostro sindacato ritiene questo dato fortemente sottostimato, poiche' in realta' sono 120mila i posti che si renderanno disponibili tra il prossimo anno e il 2017. Il calcolo e' presto fatto: all'inizio dell'attuale anno scolastico erano, infatti, ben 80mila i posti di docenti e Ata vacanti e disponibili, a cui vanno aggiunti almeno altri 40-50 mila dipendenti della scuola che saranno collocati in pensione. Solo in questo modo, coprendo tutti i posti vacanti, l'amministrazione potra' evitare ulteriori contenziosi che ormai sempre piu' frequentemente la condannano a rimborsare i precari per i danni economici e morali loro arrecati a seguito delle mancate assunzioni".

Anief ritiene fattibile anche il piano di revisione della carriera per gli insegnanti, sempre annunciato dal ministro Carrozza, ma reputa indispensabile accompagnare tale operazione con il ripristino degli scatti sinora bloccati e con l'adeguamento degli stipendi all'attuale costo della vita.

"E' davvero grave che si continui a parlare di valorizzazione dei docenti e degli operatori scolastici - continua il presidente Anief - mentre le loro buste paga rimangono, secondo l'Istat, al potere di acquisto di 20 anni fa. Oggi lavorare per la scuola, tanto per capirci, significa essere collocati tra la parte della popolazione piu' povera. E anche a livello internazionale il confronto non regge, visto che l'Ocde ci ha fatto sapere di recente che un docente, che opera nell'area dei Paesi che vi aderiscono, a fine carriera arriva a guadagnare sino a 8mila euro l'anno in piu' di quanto percepisce un insegnante italiano nella stessa condizione".

Per quanto riguarda, infine, l'intenzione di semplificare e disboscare la "giungla normativa attualmente esistente, attraverso lo strumento della codificazione (con testi unici) della normativa di scuola, universita' e ricerca", Anief si trova sostanzialmente d'accordo con il ministro.

"Anche perche' - conclude Pacifico - occorre con urgenza rivedere gli attuali testi unici della scuola, sistematicamente superati e sovvertiti dalle finanziarie degli ultimi anni, il cui vero e unico scopo e' sempre stato quello di rivedere al ribasso gli organici e la rete scolastica".

Fonte: Italpress

 

Nel pubblico impiego due lavoratori precari su tre appartengono alla scuola o alla sanita', ma lo Stato li vuole mantenere precari in eterno, tenendoli fuori dagli accordi sulla stabilizzazione dei lavoratori pubblici e dalla direttiva europea sui contratti a termine. Lo afferma l'Anief, ricordando i numeri resi pubblici dal ministro Gianpiero D'Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro.

"Sono numeri davvero avvilenti – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri - perche' significa che quasi il 10% dei dipendenti statali ha un contratto a termine. Ma quel che preoccupa di piu' il sindacato e' che i precari di scuola e sanita' sono condannati a rimanere permanentemente in questa condizione: lo dimostra il dato che negli ultimi anni lo Stato ha creato delle graduatorie - permanenti, ad esaurimento e d'istituto - che anziche' svuotarsi si stanno sempre piu' riempiendo di candidati. La colpa e' di una serie di deroghe alle norme europee, introdotte a partire dalla legge 106/2011. E cio' malgrado tali disposizioni normative continuino ad essere sanzionate dai tribunali del lavoro e a generare nuove procedure comunitarie d'infrazione a carico dello stesso Stato italiano. I Governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni – sottolinea Pacifico - hanno pensato esclusivamente a far valere le ragioni di bilancio statale".

"Dimenticando che un numero cosi' alto di precari, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari. Anziche' continuare a rimandare il problema, amplificandolo i numeri all'eccesso - conclude - il Governo farebbe bene a emendare il decreto legge sulla proroga del personale statale a tempo determinato, prevedendo una graduale stabilizzazione del personale che ha gia' svolto i tre anni minimi richiesti. Cio' eviterebbe anche un contenzioso, di cui il sindacato si fara' sicuramente carico per difendere gli interessi di migliaia di lavoratori".

Fonte: Italpress

 

"Preoccupano i dati forniti dal ministro Gianpiero D'Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro: il Governo continua a far valere le ragioni di bilancio statale. Dimenticando che un numero così alto di supplenti nei comparti statali e del servizio nazionale sanitario, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari". E' quanto afferma l'Anief.

"Nel pubblico impiego due lavoratori precari su tre appartengono alla scuola o alla sanità, ma lo Stato li vuole mantenere precari in eterno tenendoli fuori dagli accordi sulla stabilizzazione dei lavoratori pubblici e dalla direttiva europea sui contratti a termine. Il numero altissimo di dipendenti in forza ai due comparti è stato reso pubblico dal ministro Gianpiero D'Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro: dal 2004 al 2011 sono stati tagliati 300 mila dipendenti pubblici, così oggi ci ritroviamo con 7 mila impiegati in esubero e 250 mila unità con contratti a termine, di cui circa 133 mila nella scuola e altri 30 mila nella sanità".

"Sono numeri davvero avvilenti - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri - perché significa che quasi il 10% dei dipendenti statali ha un contratto a termine. Ma quel che preoccupa di più il sindacato è che i precari di scuola e sanità sono condannati a rimanere permanentemente in questa condizione: lo dimostra il dato che negli ultimi anni lo Stato ha creato delle graduatorie - permanenti, ad esaurimento e d'istituto - che anziché svuotarsi si stanno sempre più riempiendo di candidati. La colpa è di una serie di deroghe alle norme europee (direttiva 1999/70/CE), introdotte a partire dalla legge 106/2011. E ciò malgrado tali disposizioni normative continuino ad essere sanzionate dai tribunali del lavoro e a generare nuove procedure comunitarie d'infrazione a carico dello stesso Stato italiano".

Lo scorso 17 maggio questa discriminazione è stata ribadita dal Governo Letta attraverso l'approvazione in Consiglio dei Ministri del decreto legge sulla "proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni", pubblicato nella G.U. n. 54 del 21 maggio, attraverso il quale si prevede lo slittamento del termine dei contratti solo per 90 mila dipendenti degli altri comparti pubblici. Mentre scuola e sanità continuano a rimanere fuori. Eppure si tratta di unità di personale impegnate da diversi anni su posti liberi e per lunghi periodi.

"I Governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni - sottolinea Pacifico - hanno pensato esclusivamente a far valere le ragioni di bilancio statale. Dimenticando che un numero così alto di precari, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari".

La contraddizione di questa scelta dei nostri decisori politici diventa ancora più evidente, dal momento che proprio in questi giorni nella commissione Affari costituzionali e Lavoro sta iniziando l'iter di discussione sulla legge comunitaria 2013 che dovrebbe prevedere interventi al fine di rispondere alle procedure d'infrazione attivate dall'Ue nei confronti dell'Italia. Tra queste, la 2020/2010, già trasformata in atto di messa in mora a seguito della presentazione del ricorso da parte di un non docente della scuola, per la mancata assunzione del personale con più di 36 mesi di servizio a tempo determinato.
Così come si attendono sviluppi dalla Corte di giustizia europea, cui si sono rivolti docenti e Ata, anche a seguito della ordinanza favorevole emessa dal giudice Coppola di Napoli, che si dovrà esprimere entro l'anno sull'incompatibilità della normativa nazionale in materia di stabilizzazione e quella comunitaria.

"Anziché continuare a rimandare il problema, amplificandolo i numeri all'eccesso, - conclude il rappresentante Anief-Confedir - il Governo farebbe bene a emendare il decreto legge sulla proroga del personale statale a tempo determinato, prevedendo una graduale stabilizzazione del personale che ha già svolto i tre anni minimi richiesti. Ciò eviterebbe anche un contenzioso, di cui il sindacato si farà sicuramente carico per difendere gli interessi di migliaia di lavoratori".

Fonte: TMNews

 

Cresce il numero di precari alle dipendenze dello Stato: secondo il Rapporto sui diritti globali 2013, edito da Ediesse e curato dall'Associazione Societa' Informazione Onlus, a fronte di 3.315.580 lavoratori precari italiani complessivi, oltre 1.110.000 appartengono pubblico impiego e tra questi quasi la meta', oltre mezzo milione, opera nei comparti della scuola e della sanita'.

"E' evidente - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i per quadri - che in Italia stiamo assistendo a una procedura fuori dalla legge: mentre le direttive comunitarie ci chiedono di immettere in ruolo tutti i lavoratori che operano, anche non continuativamente, da oltre 36 mesi, nel nostro Paese ci siamo arrogati il diritto di introdurre delle deroghe nazionali. Ed ora ci ritroviamo con oltre mezzo milione di preziose figure professionali - come gli insegnanti, i medici, gli infermieri, i tecnici e tanti altri specializzati - che anziche' essere immessi in ruolo si ritrovano a vivere nell'incertezza".

Alla luce di questa discriminazione di trattamento, Anief ha avviato da diversi mesi un contenzioso per la loro assunzione.

"Anief e Confedir - spiega ancora Pacifico - si sono espresse da tempo nelle apposite sedi, anche se la battaglia perseguita non e' finalizzata necessariamente contro la reiterazione dei contratti a termine. Ma va a favore della progressiva stabilizzazione di tutto quel personale che ha operato per la pubblica amministrazione per un periodo complessivo, anche non continuativo, superiore al tetto indicato quasi 15 anni fa da una precisa direttiva comunitaria".

Fonte: Italpress

 

"Anche la Commissione Affari Costituzionali del Senato accoglie le osservazioni mosse nei giorni scorsi dal sindacato ai componenti della I Commissione a proposito della inapplicabilita' del blocco dei contratti e degli stipendi pubblici proposto dall'ex Governo Monti: nel parere formulato dal relatore di maggioranza, Pierantonio Zanettin (Pdl), seppure in linea generale "non ostativo", viene segnalata la necessita' di tenere conto delle censure mosse dalla Corte Costituzionale che con la sentenza n. 223 dell'ottobre del 2012 ha messo in evidenza che i sacrifici onerosi imposti dal legislatore, caratterizzati dalla necessita' di recuperare l'equilibrio di bilancio in momenti delicati per la vita economico-finanziaria del Paese, non debbano mai travalicare il carattere originario di eccezionalita' e temporaneita' dell'intervento proposto". E' quanto si legge in una nota dell'Anief.

"Si tratta di una sottolineatura rilevante, perche' conferma l'irragionevolezza della reiterazione del provvedimento, in particolare rispetto ad alcune categorie di dipendenti pubblici, come quelli della scuola che non hanno accesso ad alcun genere alternativo di progressioni di carriera", spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri.

"E' indicativo , a tal proposito - prosegue la nota- che nel corso del dibattito i componenti del Movimento 5 Stelle hanno espresso parere contrario all'adozione del provvedimento, rilevando la necessita' di reperire fondi a vantaggio dello Stato riducendo gli stipendi faraonici conferiti ancora oggi ai top manager del pubblico impiego".

Anche il senatore Giorgio Pagliari (Pd) "ha auspicato che la Commissione di cui fa parte faccia propria la decisione di non confermare il blocco degli stipendi pubblici. Esattamente come gia' osservato dai colleghi della Commissione Cultura, sempre del Senato, Pagliari ha messo in chiara luce come il blocco dei meccanismi stipendiali se adottato nel tempo assume la sostanza di una tassazione. Violando in tal modo diversi principi costituzionali. La Commissione Affari Costituzionali del Senato, in conclusione, "auspica che la presente proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali costituisca l'ultimo intervento di contenimento di spesa a discapito di una categoria sociale - quella dei dipendenti pubblici - gia' fortemente colpita da un progressivo processo di oggettivo impoverimento". I senatori hanno inoltre invitato il Governo a programmare nel primo avanzo di bilancio utile la revoca di tali sacrifici stipendiali. Per un parere definitivo della Commissione, tuttavia, bisognera' attendere le osservazioni della Commissione Bilancio".

Fonte: Italpress

 

Dopo quella di Savona, anche la Provincia di Milano invia una circolare alle scuole superiori: soluzione inevitabile, ma niente drammi perchè nelle primarie e medie l'orario su cinque giorni è già “una consuetudine apprezzata dalle famiglie e che ci mette in linea con i principali stati europei”. Regione e Usr avrebbero già dato il loro assenso. Tuttavia, per alcune tipologie di istituti uno o due “ritorni” pomeridiani sarebbero inevitabili.

Mentre il ministro Carrozza continua ad incontrare delegazioni dell'Anci, l’ultima delle quali guidata dal Presidente facente funzioni, Alessandro Cattaneo, per mettere a punto il piano di buon funzionamento del sistema formativo, soprattutto sul versante dell'edilizia scolastica, dalle province stesse continuano ad arrivare indicazioni preoccupanti sulla gestione del prossimo anno scolastico. Il 4 giugno, in particolare, la Provincia di Milano ha emesso una circolare nella quale spiega che la maggior parte degli studenti andrà a scuola cinque giorni alla settimana su sette. A tal fine la stessa Provincia invita caldamente gli istituti ad adeguarsi entro giugno.

Si tratterebbe di una indicazione realizzata in accordo con la Regione Lombardia e la direzione scolastica regionale, che rispetta formalmente l'autonomia dei singoli dirigenti. Ma che, tuttavia, allo lascia ai capi d’istituto davvero pochi margini di manovra: perché l’unica certezza, al momento, è che nel prossimo anno scolastico sono previste "ulteriori forti diminuzioni di spesa" per il riscaldamento. Quindi, per la provincia l'unica soluzione è l'articolazione dell'orario scolastico su cinque giornate settimanali.

"Tale possibilità - si legge nella circolare - sarebbe opportunamente consentita dalla riorganizzazione degli orari effettuata dalla recente riforma degli ordinamenti delle superiori che portano a un impegno massimo settimanale di 32 ore limitato a pochi corsi di studio e nella generalità dei casi in un arco di 27-30 ore". D'altra parte la Provincia osserva che, specialmente a Milano città, nelle scuole primarie e secondarie di primo grado l'orario su cinque giorni è già "una consuetudine apprezzata dalle famiglie e che ci mette in linea con i principali stati europei".

Non tutte le scuole, per completezza di informazione, potranno però istituire la settimana corta agevolmente: nei licei artistici, in alcuni istituti tecnici e nelle classi terminali degli Ipsia, infatti, le ore sono 34 e anche entrando alle 8 sarebbe inevitabile in questi istituti istituire una o due giornate di didattica con orario pomeridiano.

Tra i vantaggi indicati dell'orario su cinque giorni, sempre all’interno della circolare della Provincia di Milano, vi è infine una "più ottimale organizzazione del lavoro del personale" non docente.

Non è la prima volta che una provincia, cui è affidata per legge manutenzione e pagamento delle utenze di tutti gli istituti superiori pubblici, si rivolge alle scuole per chiedere di ridurre le spese limitando o “compressando” le giornate di offerta formativa. Circa un mese e mezzo fa anche la Provincia di Savona aveva manifestato l’esigenza di ridurre a 5 giorni i giorni settimanali di lezione. E già in quell’occasione i sindacati manifestarono il loro dissenso. Particolarmente duro fu il commento di Marcello Pacifico, presidente Anief: “le scuole italiane sono ormai abituate ad andare avanti tra mille difficoltà. Tanto è vero che da anni devono fare i conti con mancanze di ogni genere: dalla carta igienica, ai gessetti per le lavagne, dai toner per le stampanti all’assenza di manutenzione ordinaria e straordinaria. Sino a sorteggiare i supplenti per decidere quali pagare con i pochi fondi a disposizione. Se l’indicazione delle province dovesse realizzarsi – concluse il presidente dell’Anief - vorrà dire che si stavolta si organizzeranno per sopravvivere anche al freddo e alla mancanza di luce”.

Fonte: Tecnica della Scuola

“Aprire le scuole al territorio, lasciando che vengano frequentate il pomeriggio, sino alla sera, non è un’impresa facile: se anche il ministro Carrozza non vuole limitarsi alla politica degli annunci dei suoi predecessori, allora provveda a ripristinare gli organici dell’anno scolastico 2005/06”. A sostenerlo è Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola e ai quadri, dopo che il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza è tornato a ribadire la volontà di vincere la dispersione cominciando “a tenere aperte le scuole anche di pomeriggio”.

“L’unico modo per tornare ad un modello di scuola valido e competitivo – sostiene Pacifico – è quello di ripristinare quel tempo pieno e prolungato che tutto il mondo ci invidiava prima che il duo Gelmini-Tremonti lo cancellasse attraverso la legge 133 de 2008. Contemporaneamente, occorre promuovere una seria riforma dell’apprendistato. Solo in questo modo, con queste due novità, sarà possibile tornare a dare alla scuola il ruolo centrale di formazione delle nuove generazioni e di apprendimento permanente per gli adulti”.

Il sindacato ritiene giusto aprire gli istituti scolastici di pomeriggio, facendoli così diventare dei poli di riferimento e di crescita per la cittadinanza. Ma occorrono strumenti, risorse ed un’adeguata quantità di personale. Mentre negli ultimi cinque anni sono stati tagliati 200mila docenti e Ata. Senza di loro sarebbe impossibile organizzare dei turni, anche solo di didattica alternativa, di assistenza e sorveglianza, oltre l’attuale orario curricolare. Pensare di procedere verso un rilancio del settore dell’istruzione, senza rivedere un’organizzazione diversa in termini di risorse e strumenti, comporterebbe invece un sicuro fallimento. Lo stesso che ha portato negli ultimi anni a ridurre sensibilmente sia il tempo scuola curricolare, sia quello extra curricolare, limitando sempre più le iniziative di accompagnamento di crescita degli alunni. E rimandando, nel contempo, il progetto di miglioramento delle esperienze di apprendistato, passaggio ineludibile per il salto qualitativo del sistema di alternanza scuola-lavoro. “Tutte le ricerche realizzate per ridare slancio all’occupazione – continua Pacifico – passano per una formazione di alto livello, arricchita da esperienze di lavoro. È l’unico modo per combattere quella piaga della disoccupazione, che tra i giovani ha toccato il 40%. Per questi motivi – conclude il rappresentante Anief e Confedir - il sindacato si attende dal Ministro che il primo vero provvedimento a favore della scuola sia quello di tornare agli organici di otto anni fa: passaggio ineludibile per un apprendimento delle competenze finalmente adeguato al mercato professionale moderno”.

Fonte: AgenParl

 

"Aprire le scuole al territorio, lasciando che vengano frequentate il pomeriggio, sino alla sera, non è un'impresa facile: se anche il ministro Carrozza non vuole limitarsi alla politica degli annunci dei suoi predecessori, allora provveda a ripristinare gli organici dell'anno scolastico 2005-06". A sostenerlo è Marcello Pacifico, presidente Anief, dopo che il ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, è tornata a ribadire la volontà di vincere la dispersione cominciando "a tenere aperte le scuole anche di pomeriggio".

"L'unico modo per tornare a un modello di scuola valido e competitivo - sostiene Pacifico - è quello di ripristinare quel tempo pieno e prolungato che tutto il mondo ci invidiava prima che il duo Gelmini-Tremonti lo cancellasse attraverso la legge 133 del 2008. Contemporaneamente, occorre promuovere una seria riforma dell'apprendistato. Solo in questo modo, con queste due novità, sarà possibile tornare a dare alla scuola il ruolo centrale di formazione delle nuove generazioni e di apprendimento permanente per gli adulti".

Il sindacato ritiene giusto aprire gli istituti scolastici di pomeriggio, facendoli così diventare dei poli di riferimento e di crescita per la cittadinanza. "Ma - fa notare - occorrono strumenti, risorse e un'adeguata quantità di personale. Mentre negli ultimi cinque anni sono stati tagliati 200mila docenti e Ata. Senza di loro sarebbe impossibile organizzare dei turni, anche solo di didattica alternativa, di assistenza e sorveglianza, oltre l'attuale orario curricolare". L'Anief si attende quindi dal Ministro "che il primo vero provvedimento a favore della scuola sia quello di tornare agli organici di otto anni fa: passaggio ineludibile per un apprendimento delle competenze finalmente adeguato al mercato professionale moderno".

Fonte: ANSA

 

"Aprire le scuole al territorio, lasciando che vengano frequentate il pomeriggio, sino alla sera, non e' un'impresa facile: se anche il ministro Carrozza non vuole limitarsi alla politica degli annunci dei suoi predecessori, allora provveda a ripristinare gli organici dell'anno scolastico 2005/06".

A sostenerlo e' Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola e ai quadri, dopo che il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza e' tornato a ribadire la volonta' di vincere la dispersione cominciando "a tenere aperte le scuole anche di pomeriggio".

"Contemporaneamente, occorre promuovere una seria riforma dell'apprendistato - continua il presidente dell'Anief -. Solo in questo modo, con queste due novita', sara' possibile tornare a dare alla scuola il ruolo centrale di formazione delle nuove generazioni e di apprendimento permanente per gli adulti. Tutte le ricerche realizzate per ridare slancio all'occupazione passano per una formazione di alto livello, arricchita da esperienze di lavoro. E' l'unico modo per combattere quella piaga della disoccupazione, che tra i giovani ha toccato il 40%. Per questi motivi - conclude Pacifico – il sindacato si attende dal Ministro che il primo vero provvedimento a favore della scuola sia quello di tornare agli organici di otto anni fa: passaggio ineludibile per un apprendimento delle competenze finalmente adeguato al mercato professionale moderno".

Fonte: Italpress

 

Lotta all’abuso dei contratti a termine; uguaglianza di accesso per uomini e donne; investimenti per educazione scolastica, apprendistato, ricerca universitaria e patrimonio culturale. Ma non serve modificare la Costituzione.

Nel giorno della Festa della Repubblica italiana, Anief e Confedir indicano al Governo la strada per recuperare il senso e il fine della sua stessa ragion d’essere: il diritto al lavoro. Perché il lavoro è un diritto-dovere, l’essenza stessa della nostra italianità ovvero della nostra umanità. E la Repubblica deve rimuovere ogni ostacolo che si frappone alla sua ricerca e al suo accesso. Per tornare ad essere un Paese competitivo occorre allora prima di tutto invertire la tendenza dei sempre più preoccupanti dati Istat sulla disoccupazione, con il numero di chi cerca lavoro che in cinque anni è quasi raddoppiato, attestandosi all’11,7% e sfiorando il 40% tra i più giovani.

Sono tre i passaggi chiave da attuare per salvare il lavoro: rimuovere tutti gli ostacoli per la sua ricerca, promuovendo sanzioni severe contro l’abuso dei contratti a termine; garantire l’uguaglianza sostanziale dei cittadini nel suo accesso e nelle pari opportunità tra uomini e donne, sempre nel rispetto del merito; investire nell’educazione scolastica, nell’apprendistato, nella formazione e nella ricerca universitaria iniziando con l’approvazione di un vasto piano di sviluppo economico legato al patrimonio culturale.

“Solo promuovendo questi tre percorsi, attraverso il sostegno normativo e le risorse necessarie – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola e ai quadri – sarà possibile pianificare uno stato sociale che tenga conto dei diritti democraticamente acquisiti. E attuare quel patto generazionale che, dalla sanità alla previdenza, rispetti e non sovverta i principi costituzionali”.

“In questo giorno particolare – continua il sindacalista Anief-Confedir –, di fronte alla perdita del potere di acquisto degli stipendi giunto ai livelli di venticinque anni addietro, al progressivo aumento dell’età pensionabile con assegni ridotti della metà, l’impennata della disoccupazione giovanile e gli alti tassi di abbandono degli studi, bisogna riflettere seriamente. Ed impegnarsi a trovare soluzioni che non mortifichino gli ideali su cui si fonda la Repubblica. Perché più che modificare la Costituzione, rischiando di tradirne valori e capisaldi, bisogna pensare – conclude Pacifico – a programmare la crescita del Paese”.

Fonte: Informatore Scolastico

"Compensi irrisori e niente esonero da lezioni e maturita'. E ora pure la prospettiva di dover 'bruciare' le ferie. Sempre per stare dietro alla correzione dei compiti e alla valutazione delle prove del concorso a cattedra da cui entro il 31 agosto dovrebbero scaturire oltre 11mila nuovi insegnanti della scuola italiana. E' questo il destino che attende migliaia di commissari, addetti alla valutazione degli elaborati di una procedura concorsuale che non si sarebbe dovuto protrarre per cosi' tanto tempo". Lo denuncia l'Anief.

"Dopo i compensi ridicoli, che in diversi casi non superano i 500 euro complessivi, e la mancata concessione dell'esonero dalle lezioni o, per chi ne sara' coinvolto, negli esami di maturita' - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief - stavolta il Miur si e' superato. Avallando delle tabelle di marcia, proposte dagli Usr, che di fatto negano un diritto costituzionalmente protetto ai docenti esaminatori, quale e' quello delle ferie estive. La situazione sta diventando paradossale. Al punto che non pochi commissari hanno gia' rinunciato all'incarico e tanti sarebbero in procinto di farlo".

L'Anief chiede al ministero dell'Istruzione di "porre quindi un rimedio (come l'aumentare il numero di commissari) a questo ennesimo pasticcio".

Fonte: Italpress

 

Compensi irrisori e niente esonero da lezioni e maturità. E ora pure la prospettiva di dover "bruciare" le ferie. Sempre per stare dietro alla correzione dei compiti e alla valutazione delle prove del concorso a cattedra da cui, entro il 31 agosto, dovrebbero scaturire oltre 11 mila nuovi insegnanti della scuola italiana.

È questo il destino che attende migliaia di commissari, secondo l'Anief. Il problema, sottolinea l'Associazione professionale sindacale, è che il malcontento sta crescendo: in questi ultimi giorni l'Anief ha ricevuto molte lamentele perché, dicono, "l'amministrazione scolastica ha trasformato la correzione delle prove in un programma a tappe forzate. Con tanti esaminatori che saranno costretti a recarsi a scuola anche nei mesi di luglio e agosto, anche di pomeriggio e di domenica".

Se da una parte - argomenta il sindacato - si tratta di un tentativo comprensibile, perché è l'unico modo, visti i tempi stretti, per permettere la realizzazione delle graduatorie dei vincitori del concorso entro la fine di agosto e quindi la loro immediata assunzione in ruolo, dall'altra non si tiene conto delle pessime condizioni di lavoro in cui si costringono ad operare questi esaminatori.

"Dopo i compensi ridicoli, che in diversi casi non superano i 500 euro complessivi e la mancata concessione dell'esonero dalle lezioni o, per chi ne sarà coinvolto, negli esami di maturità - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief - stavolta il Miur si è superato. Avallando delle tabelle di marcia proposte dagli Usr che di fatto negano un diritto costituzionalmente protetto ai docenti esaminatori, quale è quello delle ferie estive. La situazione sta diventando paradossale. Al punto che non pochi commissari hanno già rinunciato all'incarico e tanti sarebbero in procinto di farlo".

L'Anief chiede al ministero dell' Istruzione di porre rimedio alla situazione, ad esempio aumentando il numero di commissari.

Fonte: ANSA

 

Nel giorno della Festa della Repubblica, Anief e Confedir indicano al Governo "la strada per recuperare il senso e il fine della sua stessa ragion d'essere: il diritto al lavoro".

"Sono tre i passaggi chiave da attuare per salvare il lavoro – si legge in una nota -: rimuovere tutti gli ostacoli per la sua ricerca, promuovendo sanzioni severe contro l'abuso dei contratti a termine; garantire l'uguaglianza sostanziale dei cittadini nel suo accesso e nelle pari opportunita' tra uomini e donne, sempre nel rispetto del merito; investire nell'educazione scolastica, nell'apprendistato, nella formazione e nella ricerca universitaria iniziando con l'approvazione di un vasto piano di sviluppo economico legato al patrimonio culturale".

"Solo promuovendo questi tre percorsi, attraverso il sostegno normativo e le risorse necessarie - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alla scuola e ai quadri - sara' possibile pianificare uno stato sociale che tenga conto dei diritti democraticamente acquisiti. E attuare quel patto generazionale che, dalla sanita' alla previdenza, rispetti e non sovverta i principi costituzionali".

Fonte: Italpress

 

Perche' lo Stato italiano si ostina a non volere stabilizzare i suoi dipendenti precari che hanno operato per almeno 36 mesi nella scuola e nella sanita'? A chiederlo pubblicamente, rivolgendosi in particolare ai parlamentari, e' Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri professionali, a seguito dell'arrivo in commissione Finanze della Camera del decreto, approvato il 17 maggio dal Consiglio dei Ministri, che proroga al 31 dicembre prossimo i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di circa 100mila dipendenti pubblici.

"E' evidente che questa condizione - commenta Pacifico - non puo' essere 'sine die', visto che nello Stato non ci sono i dipendenti figli di un dio minore. Perche' la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, indica solo che dopo 36 mesi di servizio, anche non continuativo, il datore di lavoro ha il dovere di procedere all'assunzione definitiva del dipendente. A tal proposito, vi sono dei precedenti nazionali importanti. Come quelli adottati durante l'ultimo governo Prodi, a seguito dell'approvazione delle leggi 296/2006 e 247/2007. La proroga del termine di scadenza concessa a quasi 100mila dipendenti pubblici - continua - e' una notizia in se' positiva. Tuttavia rende ancora piu' irrazionale e illogica la discriminazione che si attua in Italia verso diverse decine di migliaia di precari che operano da anni nei comparti pubblici di scuola e sanita'. E lo diventata ancora di piu' - conclude Pacifico - dal momento in cui la diversita' di trattamento e' stata presa in esame in Lussemburgo dal tribunale di giustizia europea, dove i giudici sovranazionali stanno valutando proprio la compatibilita' delle norme italiane derogatorie ad un legge che, come tutte, e' nata per essere uguale per tutti".

Fonte: Italpress

 

Lo slittamento dei contratti della pubblica amministrazione a tempo determinato al 31 dicembre 2013 esclude i dipendenti della scuola e della sanità. Lo riferisce Marcello Pacifico (Anief-Confedir) che si appella ai parlamentari che stanno esaminando il decreto affinchè apportino le dovute modifiche al provvedimento. "Eppure - afferma - la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, non parla di dipendenti eletti e altri figli di un dio minore".

"Ora che il decreto contenente la proroga è giunto all'esame degli organi parlamentari competenti, Anief e Confedir - si legge in una nota - chiedono ai deputati che lo stanno esaminando di emendare quel testo e di farlo valere indistintamente per tutti i dipendenti precari della pubblica amministrazione. Dal momento in cui si stanziano delle risorse per la cassa integrazione dei dipendenti pubblici, al pari dei privati, e si allunga la durata massima dei contratti a temine, non si capisce infatti per quale motivo solo alcune categorie professionali, appartenenti allo stato 'datore di lavoro', lo Stato, debbano esserne escluse. Come non si comprende con quale logica alcuni sindacati rappresentativi abbiano avallato questa diversità di trattamento".

"La proroga del termine di scadenza concessa a quasi 100mila dipendenti pubblici - afferma il sindacalista Anief-Confedir - è una notizia in sé positiva. Tuttavia rende ancora più irrazionale e illogica la discriminazione che si attua in Italia verso diverse decine di migliaia di precari che operano da anni nei comparti pubblici di scuola e sanità. E lo diventata ancora di più - conclude Pacifico - dal momento in cui la diversità di trattamento è stata presa in esame in Lussemburgo dal tribunale di giustizia europea, dove i giudici sovranazionali stanno valutando proprio la compatibilità delle norme italiane derogatorie ad un legge che, come tutte, è nata per essere uguale per tutti".

Fonte: TMNews

 

No alla pubblicazione dei risultati dei test Invalsi. L'Anief è convinta che "pubblicizzare, come sembra voler fare il Miur dal prossimo anno scolastico, gli esiti delle verifiche standardizzate imposte a un alto numero di classi, di tutti i livelli scolastici, porterà alla classificazione delle scuole in almeno due grandi categorie: quelle di serie A e quelle di serie B". Con la conseguenza, per queste ultime - spiega in una nota - di mettere a rischio buona parte dei finanziamenti statali, i quali con la revisione del contratto dei pubblico impiego saranno sempre associati alle performance. Il risultato finale sarà, quindi, condannarle all'emarginazione. Alla chiusura".

Secondo il giovane sindacato "a rischiare di chiudere i battenti saranno non di certo le scuole meno qualificate o con l'offerta formativa inadeguata (risultati che, tra l'altro, non dovrebbero condurre a una situazione estrema, ma solo a dimostrare la necessità di potenziare il supporto delle reti di scuole limitrofe). A serio rischio di sopravvivenza saranno, invece, le realtà scolastiche più bisognose di sostegno: quelle operanti in quartieri e comunità difficili, nelle periferie, nelle realtà sociali spesso degradate e non di rado anche isolate. Per molte di loro, se non sarà la scarsità di finanziamenti a farle chiudere, ci penserà la carenza di iscritti. Derivante dalla 'pubblicita'' negativa dei test Invalsi".

"Se si vuole veramente introdurre questo modello - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola - il rischio fondato a cui si andrà incontro è quello di snaturare il vero fine dello strumento di monitoraggio: le prove Invalsi sono delle verifiche nate per suggerire buone prassi, linee guida di intervento e programmazione. Come del resto previsto da ogni sistema educativo statale di qualità.

Quanto vuole fare il Miur, invece, significa dare spazio ad una valutazione nazionale che non tiene conto né delle diversità del territorio né delle peculiarità dell'utenza. E che affosserà proprio le scuole per vari motivi più bisognose di aiuto".

Fonte: ANSA

 

"Il dimezzamento dei pensionamenti del personale della scuola e' solo l'inizio della parabola discendente, che nel volgere di pochi anni portera' ad allungare fino a 70 l'eta' anagrafica necessaria per lasciare il lavoro nel pubblico impiego. Il Governo sta pensando di allungare i tempi di addio al lavoro, dal 2020, con l'elevazione ulteriore dell'eta' anagrafica e con l'introduzione di meccanismi penalizzanti o premianti rispetto ai 66 anni attualmente previsti". Lo afferma in una nota l'Anief.

"Il campanello d'allarme e' gia' suonato: come primo effetto della riforma Fornero, a settembre il numero di insegnanti e Ata da collocare in pensione passera' da quasi 28mila del 2012 ad appena 14.522 unita' - spiega il sindacato -. Si tratta di un record negativo che rischia di bloccare quel turn over nella scuola indispensabile per permettere lo svecchiamento della classe docente (con oltre 50 anni di media deteniamo gia' i prof piu' vecchi dell'area Ocse) e le immissioni in ruolo di 250mila precari inseriti nelle graduatorie, oltre che gli 11.542 vincitori del concorso a cattedra in corso di svolgimento. Di queste difficolta' si e' gia' reso conto il nuovo ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che continua a lavorare ad un piano in base al quale, oltre alla necessita' di migliorare la flessibilita' in entrata, attraverso modifiche ai contratti a termine ed all'apprendistato, prevede una serie di punti da revisionare. Tra cui proprio le pensioni. Si starebbe gia' pensando, valutando i costi associati, ad una fascia di flessibilita' per anticipare l'uscita dal lavoro di 3-4 anni in cambio di penalizzazioni da definire. Nella scuola i docenti con oltre 20-25 anni di anzianita' potrebbero anche rimanere in servizio, vestendo pero' i panni dei tutor-formatori degli ultimi assunti. Non gravando, in tal modo, sulla previdenza e aprendo le porte ad una sorta di staffetta generazionale. Anche perche' aver sacrificato il 2,5% del PIL dell'anno scorso non ha prodotto alcun beneficio alle casse dello Stato".

"Intanto, il 18 novembre si discutera' in Corte Costituzionale sulla legittimita' dello stop alla pensione per i cosiddetti 'Quota 96' della scuola. Dopo l'ordinanza del giudice del lavoro di Siena e la sospensione del giudizio disposta dalla Corte dei Conti dell'Emilia Romagna e della Puglia, si aspetta l'udienza pubblica del 19 novembre prossimo, quando la Consulta sara' chiamata a discutere sulla sospetta violazione degli articoli 2, 3, 11, 38, 97, 117 1 comma e dell'art. 6 della Cedu da parte dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del dicembre scorso convertito dalla legge n. 214/11 - sottolinea l'Anief -. A tal proposito e' bene ricordare che una deroga (per l'anno 2013-2014, come previsto dall'art. 14 comma 20-bis, della legge 135/12) e' prevista solo per il personale che risultera' sovrannumerario a seguito dei processi di mobilita' determinati per quest'anno scolastico".

"Se non si interverra' rapidamente - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola - quello che aspetta i lavoratori piu' giovani e' che dal 2030 le retribuzioni differite saranno piu' o meno la meta' di quelle che si percepivano all'inizio del nuovo secolo. Alcuni esperti di previdenza ci hanno fornito proiezioni ancora piu' negative, addirittura di un taglio dell'assegno pensionistico pari al 60% rispetto all'ultimo stipendio. L'esito dipendera' anche da fattori economici nazionali ed internazionali non prevedibili. Ma in ogni caso le aspettative piu' rosee, fornite dai simulatori delle organizzazioni sindacali, collocano la riduzione al 36%".

Fonte: Italpress

 

"Per la scuola italiana la riforma Fornero sui pensionamenti si sta rivelando un problema insormontabile: la nuova norma che permette di lasciare il servizio non prima dei 65 anni ha innescato un vero e proprio blocco del turn over, con gli insegnanti italiani destinati ad essere sempre piu' confermati tra i piu' vecchi dell'area Ocse".

Lo afferma in una nota l'Anief, che spiega: "I dati ufficiali emessi in queste ore dal ministero dell'Istruzione indicano che dal prossimo 1° settembre potranno lasciare il servizio solo 10.860 docenti e 3.662 tra amministrativi, tecnici ed ausiliari. Si tratta di appena 14.522 lavoratori, un numero che corrisponde alla meta' di quelli che nel 2102 avevano lasciato il lavoro: lo scorso anno andarono in pensione 27.754 dipendenti, suddivisi tra 21.114 docenti e 5.338 Ata (a cui si aggiunsero 35 del personale educativo, 207 insegnanti di religione cattolica e 1.060 dirigenti scolastici)".

"Ma il dato odierno diventa ancora piu' clamoroso se si va a raffrontare con le cessazioni dal servizio di qualche anno prima. Ad esempio il 2007, quando ad andare in pensione furono, sempre sommando docenti e Ata, oltre 35mila dipendenti della scuola - sottolinea il sindacato -. Mantengono delle speranze di lasciare il lavoro, perche' collocabili con il trattamento pensionistico precedente, solo coloro che hanno inviato il modello cartaceo predisposto dal sindacato, poiche' il Miur non gli riconosce di aver maturato la famosa 'Quota 96' al 1° settembre 2011: si tratta, comunque, di un numero non altissimo di ricorrenti che non cambia di certo la sostanza delle cose".

Secondo l'Anief "siamo di fronte a numeri che inquietano non soltanto gli attuali partecipanti all'ultimo concorso a cattedra, per l'immissione in ruolo di 11.542 nuovi docenti. A fare allungare le liste di attesa per il ricambio generazionale ci sono anche i circa 5.500 candidati appartenenti al personale Ata, che gia' l'anno scorso avrebbe dovuto essere assunti a tempo indeterminato (collocazione a tutt'oggi bloccata per via dell'ancora incerto destino del personale docente inidoneo all'insegnamento o in posizione di sovrannumero, in particolare gli insegnanti tecnico pratici delle scuole superiori). A cui si aggiungono circa 250mila docenti collocati nelle graduatorie ad esaurimento. Ed almeno altri 50mila Ata in posizione di pre-ruolo".

"I numeri ufficiali forniti dal Miur sui pensionamenti in arrivo dal mese di settembre - commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola - sono a dir poco sconfortanti. Prima di tutto perche' se a lasciare il servizio sono sempre meno persone, per i vincitori dei concorsi, tramite prove dirette, ma soprattutto per le graduatorie ad esaurimento, non basteranno dieci lustri per smaltire le liste di attesa. In secondo luogo, questi dati preoccpano davvero se si pensa che la classe docente italiana e' gia' oggi la piu' vecchia al mondo: in base agli ultimi dati ufficiali, l'eta' media delle immissioni in ruolo e' alle soglie dei 40 anni di eta'. E ormai complessivamente due insegnanti italiani su tre hanno almeno 50 anni. Non solo: i nostri docenti con meno di 30 anni sono appena lo 0,5%, mentre in Germania la presenza di insegnanti under 30 si colloca al 3,6%, in Austria e Islanda al 6%, in Spagna al 6,8%. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo".

Fonte: Italpress

 

"Dopo le proteste dei sindacati, la proroga del blocco degli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego trova resistenze anche sui banchi del Parlamento: poco fa la VII commissione Cultura del Senato ha espresso forti riserve sulla bozza di proposta di proroga, a tutto il 2014, lasciata in eredita' dal Governo Monti attraverso un'apposita bozza di decreto legislativo". Lo rende noto l'Anief.

Questo il comunicato emesso poco fa dalla commissione Istruzione pubblica, Beni Culturali: "in sede consultiva la Commissione ha concluso l'esame dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti (atto n. 9). La relatrice Puglisi ha illustrato uno schema di osservazioni conti e sul quale sono intervenuti il presidente Marcucci, nonche' i senatori Marin, Di Giorgi, Bocchino, Centinaio (che ha preannunciato voto favorevole), Giannini (che ha preannunciato voto favorevole) e Zavoli. Su richiesta del senatore Sibilia il Presidente ha disposto una breve sospensione della seduta. Alla ripresa hanno dichiarato il voto favorevole dei rispettivi Gruppi i senatori Mineo e Petraglia. La Commissione ha indi approvato all'unanimita' lo schema di osservazioni contrarie della relatrice".

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola "si tratta di una presa di posizione rilevante perche' smonta, finalmente anche tra i politici usciti dall'ultima tornata politica nazionale, lo scenario penalizzante per milioni di lavoratori che il Governo uscente aveva prefigurato per far quadrare i conti in rosso dello Stato. Anche i senatori della settima commissione Cultura hanno probabilmente compreso che sarebbe meglio attendere la sentenza della Corte costituzionale prevista per il prossimo mese di novembre".

Secondo Anief e Confedir "un'eventuale approvazione del provvedimento di proroga del blocco violerebbe, infatti, gli articoli 1, 4, 36, 39 e 53. Non a caso, la sentenza della Consulta n. 223/12 ha gia' stabilito che una norma di questo stampo perdurante nel tempo e' illegittima perche' non transeunte, arbitraria e inutile. Il Governo non puo' non prendere atto di tali indicazioni: il blocco dei contratti del pubblico impiego va assolutamente ripensato, anche perche' e' dimostrato che i risparmi ricavati sino ad oggi non hanno prodotto i risultati prefigurati in termini di recupero delle economie statali".

Fonte: Italpress

 

"La volonta' del ministero dell'Istruzione di rendere pubblici i risultati dei test Invalsi ottenuti dagli alunni di ogni singolo istituto e' una sfida alle energie profuse in tanti anni per migliorare i livelli delle nostre scuole e dell'apprendimento".

Lo afferma in una nota l'Anief, convinta che pubblicizzare, come sembra voler fare il Miur dal prossimo anno scolastico, gli esiti delle verifiche standardizzate imposte ad un alto numero di classi, di tutti i livelli scolastici, portera' alla classificazione delle scuole in almeno due grandi categorie: quelle di serie A e quelle di serie B. Con la conseguenza, per queste ultime, di mettere a rischio buona parte dei finanziamenti statali, i quali con la revisione del contratto dei pubblico impiego saranno sempre associati alle performance. Il risultato finale sara', quindi, condannarle all'emarginazione. A alla chiusura.

Il sindacato si sofferma sul fatto che "a rischiare di chiudere i battenti saranno non di certo le scuole meno qualificate o con l'offerta formativa inadeguata (risultati che, tra l'altro, non dovrebbero condurre ad una situazione estrema, ma solo a dimostrare la necessita' di potenziare il supporto delle reti di scuole limitrofe). A serio rischio di sopravvivenza saranno, invece, le realta' scolastiche piu' bisognose di sostegno: quelle operanti in quartieri e comunita' difficili, nelle periferie, nelle realta' sociali spesso degradate e non di rado anche isolate. Per molte di loro, se non sara' la scarsita' di finanziamenti a farle chiudere, ci pensera' la carenza di iscritti. Derivante dalla 'pubblicita'' negativa dei test Invalsi".

"Se si vuole veramente introdurre questo modello – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola - il rischio fondato a cui si andra' incontro e' quello di snaturare il vero fine dello strumento di monitoraggio: le prove Invalsi sono delle verifiche nate per suggerire buone prassi, linee guida di intervento e programmazione. Come del resto previsto da ogni sistema educativo statale di qualita'. Quanto vuole fare il Miur, invece, significa dare spazio ad una valutazione nazionale che non tiene conto ne' delle diversita' del territorio ne' delle peculiarita' dell'utenza. E che affossera' proprio le scuole per vari motivi piu' bisognose di aiuto".

L'Anief teme che, ancora una volta, l'esigenza di tenere equilibrato il bilancio statale si riversi nella scuola sottoforma di una crudele e innaturale selezione degli istituti. Rispolverando la logica darwiniana di sopravvivenza della "specie", si vuole introdurre nell'istruzione pubblica il modello aziendale della misurazione della produttivita'. Facendo finta di non sapere che l'istruzione necessita di tutt'altro. Di organizzazioni che mettono al primo posto, anziche' eluderli, i fattori di partenza degli alunni e delle loro famiglie. Come, del resto, previsto costituzionalmente per ogni cittadino.

"La pubblicazione dei risultati delle prove Invalsi – continua Pacifico - rappresenta l'esatto opposto di questo modello: significa una sicura rinuncia a sviluppare le competenze di ciascun alunno. Significa abbandonare l'idea di valorizzare e rispettare il lavoro svolto da quelle decine di migliaia di insegnanti che ogni giorno svolgono la loro preziosa professione in ambienti e territori fortemente difficili, di cui lo Stato spesso conosce l'esistenza solo parzialmente. Che necessita' c'era di penalizzare ulteriormente queste scuole collocandole nelle liste 'nere', preludio della fusione con altri istituti se non della loro soppressione?".

Fonte: Italpress

 

In questi giorni le Commissioni parlamentari impegnate nel parere sul regolamento hanno ascoltato sindacati e associazioni sulla questione degli scatti. Adesso si attendono i pareri, entro martedì 28 e comunque non vincolanti, di Commissione Cultura e Bilancio al Senato.

Dopo Di Menna, segretario UIL, che ha bocciato decisamente il provvedimento ed ha chiesto un tavolo per le trattative sul contratto scaduto, abbiamo sentito Marcello Pacifico, presidente ANIEF.

Secondo Pacifico, il blocco degli stipendi viola gli articoli 1, 2, 3, 4, 36, 39 della Costituzione italiana. A questo si aggiunge che la Corte Costituzionale si è già espressa per il blocco degli stipendi dei magistrati, bocciando il provvedimento. Sentenza che deve essere valida anche per il resto della Pubblica Amministrazione.

"Il blocco - afferma Pacifico - è accettabili in termini eccezionali, ad esempio un anno. Ma qui si chiede il blocco per il quarto anno, perdendo qualsiasi eccezionalità".

Per quale motivo, poi? "Dal 2010 il debito pubblico è aumentato di 10 punti, perché, quindi, afferma Pacifico, "licenziare i docenti? Perché bloccare gli stipendi?"

Sull'eventualià di ulteriori tagli al Fondo di Istituto per reperire soldi per finanziare il pagamento degli scatti stipendiali, Pacifico ne sostiene l'intollerabilità.

"Gli scatti sono un diritto", afferma, inoltre, se si continua a tagliare ancora "le scuole saranno al collasso".

Questi sono provvedimenti, che, secondo il Presidente ANIEF, vanno nella direzione sbagliata, sulla "scuola bisogna investire per far ripartire il paese"

Il video

 

 

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Fonte: Orizzonte Scuola

Tra le "stranezze" della scuola italiana "c'é anche quella dei 100mila assunti in ruolo dal settembre 2010 a oggi, a cui lo Stato italiano ha bloccato la carriera e gli scatti automatici. Con il risultato, davvero paradossale, che per quasi dieci anni sono costretti a percepire uno stipendio non solo congelato, ma addirittura più basso dei loro colleghi precari".

Lo denuncia l'Anief spiegando che "è tutta colpa del blocco dei contratti introdotto con i commi 21 e 23 dell'art. 9 della legge 122/2010". "Ma anche - aggiunge - della proposta del Governo Monti di posticipare sino a tutto il 2014 questo blocco e sui cui nelle prossime settimane sarà chiamato a esprimersi il nuovo esecutivo guidato da Letta".


Secondo l'Anief "é assurdo che circa 100mila docenti e Ata assunti in ruolo dal 2010 continuino a essere condannati a percepire uno stipendio inadeguato. E ciò solo perché laddove anche ottengano un decreto di ricostruzione di carriera, questo varrà ai soli fini giuridici e non economici".


Oltre a dover rinunciare al 10% dello stipendio, che corrisponde a circa 200 euro al mese a seguito del blocco degli scatti stipendiali, questo personale, vincitore di concorso e assunto regolarmente in ruolo, non potrà - spiega l'associazione - per diversi anni nemmeno farsi valere la ricostruzione di carriera. Con il risultato che nella migliore delle ipotesi, i docenti laureati della secondaria superiore, arrivano oggi a percepire poco più di 1.200 euro al mese.


Ma secondo il sindacato "annullare questi aumenti rappresenta un'operazione incostituzionale: se la Consulta, con la sentenza 223/2012, ha dato ragione ai magistrati, perché il blocco è lesivo degli articoli 1, 4, 36, 39 e 53 della Costituzione, per analogia non potrà negare lo stesso trattamento agli altri dipendenti pubblici che rivendicano il medesimo diritto allo stipendio equo. Ancora di più per quelli di ruolo, che dopo essere stati selezionati e aver vinto un regolare concorso per merito, si ritrovano con buste paga sempre meno dignitose, tra l'altro tra le concause dell'aumento del deficit nazionale a causa della riduzione degli acquisti".


L'Anief ritiene quindi "inevitabile" aprire una nuova stagione di contenziosi.

Fonte: ANSA

 

Tra le stranezze della scuola italiana c'e' anche quella dei 100mila assunti in ruolo dal settembre 2010 ad oggi, a cui lo Stato italiano ha bloccato la carriera e gli scatti automatici. Secondo l'Anief e' assurdo che circa 100mila docenti e Ata assunti in ruolo dal 2010 continuino ad essere condannati a percepire uno stipendio inadeguato.

"L'assurdo di questa situazione - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola - e' che mentre tanti precari hanno fino ad oggi, grazie all'opera del nostro sindacato, avuto la possibilita' di farsi valere in tribunale il loro servizio da supplenti, come confermato dalle corti di appello dell'Aquila e di Torino, per questo personale di ruolo sembrerebbe non esserci alcuna possibilita'. Fino a nove anni, in pratica, rischiano di essere costretti a percepire delle buste paga con degli importi davvero bassi. Ora, bisognerebbe spiegare ai nostri politici – continua Pacifico - come si fa a vivere dignitosamente con il proprio stipendio fermo, in proporzione, a quello di 25 anni prima. Siccome la risposta e' ovvia, per il sindacato sara' inevitabile aprire una nuova stagione di contenziosi. Che riguardera' tutti coloro che hanno subito un danno economico per la mancata assegnazione degli incrementi stipendiali tra il 2010 e il 2014".

Anief ritiene che l'unica strada per i neo-assunti o per chi e' passato di ruolo dopo il settembre 2010 per recuperare l'anzianita' retributiva dovuta e l'aumento di stipendio ed evitare di ritrovarsi tutta la carriera lavorativa ritardata di quattro anni ai fini economici, rimane il ricorso al tribunale del lavoro.

Fonte: Italpress

 

Rimane alto il rischio di uno stop degli incrementi economici sino al 31 dicembre 2014: dopo il via libera della commissione Bilancio della Camera, a momenti arriverà il parere di quella Affari Costituzionali al Senato. Intanto, nel corso di un’audizione, Anief-Confedir rivelano un’altra amara sorpresa: se passerà il testo ereditato dal Governo Monti, gli scatti in busta paga recuperati nel 2011 non avrebbero effetti per la progressione di carriera.

Non sembrerebbe voler risparmiare la Scuola la proposta di proroga, a tutto il 2014, del blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici lasciata in eredità dal Governo Monti, attraverso la bozza di decreto legislativo approvata dal CdM uscente: l’ipotesi, su cui già il Consiglio di Stato ha dato il suo parere positivo, lo scorso 3 maggio è stata trasmessa alla Presidenza della Camera, dove anche la Commissione Bilancio ha dato il suo assenso al provvedimento. Nelle prossime ore anche un ristretto gruppo di senatori, costituenti la commissione Affari Costituzionali si esprimerà al riguardo. L’ultima parola spetterà però al nuovo Governo. Che qualora dovesse opporsi, dovrebbe però anche trovare le modalità per recuperare fondi alternativi a quelli che avrebbe dovuto garantire la proroga del blocco degli stipendi del dipendenti pubblici.

La decisione è molto attesa. Prima di tutto perché se il progetto dovesse essere approvato, dalla scuola scaturirà almeno il 30% del risparmio previsto per tutta la pubblica amministrazione. Queste le novità previste dal decreto: la proroga, fino al 31 dicembre 2014, del blocco della maturazione delle posizioni stipendiali e dei conseguenti incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti; il blocco, senza possibilità di recupero, delle procedure contrattuali e negoziali degli anni 2013-2014; lo stop al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti dal 2011; il blocco del riconoscimento di incrementi a titolo di indennità di vacanza contrattuale, anche questi senza possibilità di recupero.

Tutti i sindacati che si occupano di scuola e di dipendenti pubblici si sono detti, al pari dei lavoratori, molto preoccupati di una prospettiva di questo genere. Tra i più combattivi c’è sicuramente Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalità “Se il Governo Letta non saprà uscire da questa ‘trappola’ – sostiene il sindacalista siciliano – ai dipendenti pubblici e alle loro famiglie verrà conferita una mazzata da cui sarà difficile riprendersi: più di 3 milioni di lavoratori si ritroveranno privati di circa il 10% dello stipendio, che corrisponde a circa 200 euro al mese. Non bisogna poi mai dimenticare che tale misura si abbatterebbe su dei dipendenti, quelli della scuola, che nel 99 per cento dei casi non potendo attuare su alcun tipo di carriera professionale, vengono compensati proprio da quegli scatti e 'gradoni' stipendiali che dal 2010 il Governo ha deciso di sottrargli per far quadrare i conti pubblici”.

Per il sindacato, quindi, non vi sono dubbi: “il blocco è lesivo degli articoli 1, 4, 36, 39 e 53 della Costituzione, per analogia non potrà negare lo stesso trattamento agli altri dipendenti pubblici che rivendicano il medesimo diritto allo stipendio equo”. Pacifico lo ha ribadito a chiare lettere il 23 maggio, nel corso di un’audizione in Senato a nome della Confedir: il blocco degli stipendi si basa su una “norma illegittima perché non transeunte, arbitraria e inutile”, ha chiosato il sindacalista. Ricordando che a sostenerlo è stata la Consulta con la sentenza 223/2012, che ha dato ragione ai magistrati. Ora, il blocco degli stipendi e dell'indennità di vacanza contrattuale fino al 2014 e fino al 2013 per il personale della scuola non è eccezionale e transeunte perché non riguarda un solo anno ma un quadriennio, è arbitrario perché non ad tempus ma ad libitum visto il carattere tributario della norma nei confronti di una sola categoria di contribuenti, i dipendenti pubblici, e non consentaneo allo scopo prefisso perché il blocco che si intende prorogare e non recuperare insieme ai 300.000 tagli effettuati nella P.A. negli ultimi tre anni non ha prodotto risparmi visto l'aumento di 10 punti di spesa del debito pubblico”.

Anief-Confedir hanno infine accennato ad un’altra probabile “tegola” in arrivo per docenti e Ata: “i recenti aumenti contrattuali disposti per legge per la scuola nel 2011, sembrano non siano più considerabili come tali ai fini della progressione di carriera”. Se così fosse, per i tribunali della Repubblica si profila un’altra ondata di ricorsi in arrivo.

Fonte: Tecnica della Scuola

 

La norma sul blocco degli scatti nella Pubblica Amministrazione "è illegittima perché non transeunte, arbitraria e inutile". Lo afferma Marcello Pacifico, delegato Confedir al Contenzioso, al termine della sua audizione in Commissione Affari Costituzionali del Senato.

"Per i giudici della Consulta - dichiara Pacifico - i sacrifici richiesti a tutti i dirigenti e dipendenti pubblici devono essere eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso. Ora, il blocco degli stipendi e dell'indennità di vacanza contrattuale fino al 2014 e fino al 2013 per il personale della scuola non è eccezionale e transeunte perché non riguarda un solo anno ma un quadriennio, è arbitrario perché non ad tempus ma ad libitum visto il carattere tributario della norma nei confronti di una sola categoria di contribuenti, i dipendenti pubblici, e non consentaneo allo scopo prefisso perché il blocco che si intende prorogare e non recuperare insieme ai 300.000 tagli effettuati nella P.A. negli ultimi tre anni non ha prodotto risparmi visto l'aumento di 10 punti di spesa del debito pubblico".

"A rischio, infine, i recenti aumenti contrattuali disposti per legge per la scuola nel 2011, che sembrano non siano più considerabili come tali ai fini della progressione di carriera - sottolinea la Confedir -. Se dovesse essere approvato il regolamento, il sindacato chiederà giustizia ai tribunali della Repubblica per ottenere il giusto riconoscimento al lavoro svolto in questi anni".

Fonte: Italpress

 

Anief conferma la volontà di ricorrere contro questo blocco che viola l’articolo 8 della Cedu. E che diventa ancora più anacronistico dal momento che si sta discutendo sempre più seriamente sulla necessità di abolire le province. I dubbi aumentano se, come sembra, il trasferimento sarebbe possibile per i neo-assunti che chiedono il passaggio di ruolo o di cattedra.

Non si può vietare per un quinquennio il trasferimento interprovinciale degli immessi in ruolo a partire dall’anno scolastico 2011/2012, dice Anief. In questi giorni, infatti, ad almeno 30 mila insegnanti e Ata, assunti a partire dal 1° settembre 2011, è stato negato di potersi avvicinare ai loro figli, coniugi, compagni e genitori. Negando loro pure l’assegnazione provvisoria annuale anche qualora vi fossero “cattedre” e posti liberi nella loro provincia di residenza.

Tutta colpa degli effetti nefasti dell’applicazione del CCNI del 29 febbraio, 13 luglio e 6 dicembre 2012. Oltre che dell’approvazione dell’art. 9, c. 21 della Legge 106/2011.

La norma, dice sempre Anief, sembrerebbe lasciare aperto più di uno spiraglio per i passaggi di cattedra e di ruolo di tipo interprovinciale. A tal proposito viene da chiedersi se si siamo di fronte ad un “buco” normativo, ad una dimenticanza, oppure ad una precisa volontà del legislatore. Se dovesse rivelarsi esatta quest’ultima ipotesi, con l’apertura concessa solo ai neo-assunti che chiedono di cambiare classe di concorso o livello scolastico, sarebbe ancora più evidente la discriminazione in atto.

Per questo Anief pensa che quanto sta accadendo rappresenti un palese oltraggio dell’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo, attraverso cui si tutelano gli interessi superiori del fanciullo. Inoltre, come ha ricordato a più riprese la Corte di Strasburgo, lo Stato ha il dovere di adottare tutte le misure necessarie al rispetto della vita familiare e alle relazioni tra gli individui appartenenti a una famiglia. E tutto ciò diventa ancora più paradossale, dal momento che si bloccano decine di migliaia di docenti proprio mentre si sta discutendo sempre più seriamente sulla necessità di abolire le province”.

In attesa dell’esito di centinaia di ricorsi presentati ai giudici del lavoro, il sindacato conferma la volontà di rivolgersi alla Corte Costituzionale, proprio per l’evidente violazione dell’articolo 8 della Cedu e in ultima istanza anche alla Corte di Strasburgo.

Fonte: Tecnica della Scuola

 

L'Anief lamenta che su concorsi e tirocini abilitanti continuano a prevalere allungamento dei tempi e tanti quesiti irrisolti.

"Ci sono tante decine di migliaia di docenti - spiega il presidente dell'Anief, Marcello Pacifico - a cui erano state indicate delle scadenze. Sulla base delle quali sono stati fatti progetti professionali e personali. Tutte queste date, tuttavia, sono state sistematicamente non rispettate.

"Ma poiché si preannunciano dei rilievi, con conseguenti modifiche sul testo, è inevitabile che l'avvio della prova nazionale prevista per giugno non potrà essere rispettata - continua Pacifico - . Come non porta ad alcuna certezza la conclusione del Tfa normale, frequentato da oltre 21 mila candidati: a loro era stato detto che avrebbero potuto accedere ad un nuovo concorso a cattedra di cui si sono perse le tracce. Se a questo aggiungiamo che verrà ingiustamente negato di potersi inserire nelle graduatorie ad esaurimento, dopo che per 13 anni era stato invece permesso, viene da chiedersi che genere di spendibilità avrà questo duro e oneroso percorso formativo".

Anief conferma dunque l'intenzione di avviare contenziosi, presso i tribunali della Repubblica, a tutela dei diritti dei lavoratori.

Fonte: Italpress

 

Su concorsi e tirocini abilitanti continuano a prevalere allungamento dei tempi e tanti quesiti irrisolti: il procrastinarsi dei termini per le correzioni delle prove scritte del concorso a cattedra, il silenzio assordante sui Tfa speciali e i tanti punti interrogativi che permangono su quelli ordinari stanno lasciando oltre 100 mila docenti della scuola pubblica, in parte precari in parte di ruolo, in uno stato di pericolosa incertezza.

Anche le dichiarazioni odierne del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, orientate a rimandare qualsiasi decisione su reclutamento e nuove abilitazioni, confermando la logica del “tutto è possibile”, non fanno altro che aumentare questo stato di insicurezza. Uno stato che, però, tanti professionisti della formazione e dell’educazione pubblica non meritano. Dopo che il Miur ha dato conferma di non volere o potere assumersi alcuna responsabilità in merito al rispetto dei tempi prefissati, il nostro sindacato ha deciso di rivolgersi direttamente al Parlamento: “ci sono tante decine di migliaia di docenti – spiega il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico – a cui erano state indicate delle scadenze. Sulla base delle quali sono stati fatti progetti professionali e personali. Tutte queste date, tuttavia, sono state sistematicamente non rispettate”.

A partire dal concorso a cattedre, da cui sarebbero dovuti scaturire circa 11.500 nuovi insegnanti entro la fine di quest’anno scolastico, ma per il quale più di una regione ha fatto sapere che chiuderà le operazioni solo in autunno. Facendo così saltare le immissioni in ruolo, previste in estate, per tutti quei vincitori. Senza contare che il drastico calo di pensionamenti, con conseguente riduzione di posti liberi previsti, ha nel frattempo posto seri dubbi pure sull’attuazione del turn over. Problemi seri si stanno riscontrando anche per il Tfa speciale, che avrebbe dovuto far abilitare tra i 75 mila e i 100 mila docenti.

Dopo il ‘colpo di mano’ del Miur, che lo scorso 25 marzo ha pubblicato un regolamento dei corsi comprensivo di novità importanti, come l’allargamento a tre anni di supplenze e l’indizione di un test d’accesso, le quali avrebbero dovuto comportare il consulto di organi istituzionali, come le commissioni parlamentari (sono migliaia i ricorsi che l’Anief ha raccolto e si prepara a presentare non appena il decreto sarà ufficializzato), le modifiche al decreto 249/2010 sul reclutamento scolastico risultano ad oggi ancora ferme alla Corte di Conti. “Ma poiché si preannunciano dei rilievi, con conseguenti modifiche sul testo, è inevitabile che l’avvio della prova nazionale prevista per giugno non potrà essere rispettata – continua Pacifico - . Come non porta ad alcuna certezza la conclusione del Tfa normale, frequentato da oltre 21 mila candidati: a loro era stato detto che avrebbero potuto accedere ad un nuovo concorso a cattedra di cui si sono perse le tracce. Se a questo aggiungiamo che verrà ingiustamente negato di potersi inserire nelle graduatorie ad esaurimento, dopo che per 13 anni era stato invece permesso, viene da chiedersi che genere di spendibilità avrà questo duro e oneroso percorso formativo”.

Anief conferma dunque l’intenzione di avviare contenziosi, presso i tribunali della Repubblica, a tutela dei diritti dei lavoratori: non si possono disperdere o congelare le competenze accertate di decine di migliaia di docenti.

Fonte: AgenParl

 

"Dopo il taglio di 300 mila posti in sei anni ed il reiterato blocco dei contratti, i dipendenti pubblici accusano un altro duro colpo: stavolta ad essere penalizzati sono i lavoratori di ruolo, per la cui formazione ed aggiornamento professionale l'amministrazione spende sempre meno soldi". A rilevarlo e' il rapporto annuale della Scuola superiore della P.A. (Sspa), secondo cui a partire da un dl del 2010 si e' assistito ad una progressiva riduzione dei fondi dedicati alle attivita' formative.

Nel solo ultimo anno la contrazione media nella PA e' stata del 30%, con punte di oltre il 50% in meno per i lavoratori che operano nelle Camere di commercio (-60,1%), nelle Province (-62,9%) e nei Comuni (-56,7%).

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per le alte professionalita', "con il passare dei mesi il processo peggiorativo delle condizioni lavorative dei dipendenti pubblici diventa sempre piu' evidente: anziche' puntare su azioni di rafforzamento di educazione permanente e di aggiornamento 'in progress', come da tempo indica anche l'Unione europea, l'Italia si mette in evidenza per la mancata formazione dei suoi lavoratori statali. Una 'performance' che si va ad aggiungere, tra l'altro, al sostanzioso taglio agli organici, in particolare nella scuola dove in pochi anni sono stati cancellati 200 mila posti tra docenti e Ata, ed al congelamento dei contratti avviato a partire dal 2010".

"Anief e Confedir non possono che condannare questo modo di procedere: alla lunga portera' ad un peggioramento della qualita' dei servizi pubblici - si legge in una nota -. Considerati dallo Stato sempre piu' un 'salvadanaio' e non una preziosa risorsa da valorizzare e mettere a disposizione della cittadinanza. Con un inevitabile allargamento della forbice rispetto al comparto privato, dove invece la formazione e l'aggiornamento del personale rimangono essenziali per lo sviluppo e la crescita aziendale".

"C'e' un'ultima considerazione da fare: poiche' rispetto al 2011 il debito pubblico e' aumentato del 10% - continua Pacifico - , viene da chiedersi dove sono finiti i fondi che annualmente lo Stato dovrebbe spendere per la pubblica amministrazione. E lo stesso vale per i finanziamenti di provenienza comunitaria annualmente stanziati per questo preciso obiettivo. Il nuovo Governo faccia chiarezza al piu' presto: ci sono oltre 3 milioni di dipendenti pubblici che meritano risposte".

Fonte: Italpress

 

Nel cedolino di aprile degli statali assunti dal 2000 è subentrata una sorta di ‘tassa’ “compensativa per garantire parità retributiva tra vecchi e nuovi. Anief: il Mef fa il mea culpa e corre ai ripari per non restituire niente, chi è in regime di TFR deve rivolgesi al tribunale. Intanto Palazzo Chigi farebbe bene a mettere da parte 3 miliardi…

Non c’è pace sulle trattenute stipendiali che alcuni sindacati continuano a considerare non lecite. Anche le novità introdotte dal Governo sulla trattenuta del 2,5% sullo stipendio di aprile dei dipendenti pubblici assunti a partire dal 2000, apparentemente favorevole a questi circa 700 mila lavoratori, non soddisfa proprio l’Anief.

Il sindacato di Pacifico, che aveva fatto pervenire migliaia di diffide del personale della scuola contro la trattenuta da intendersi come contributo obbligatorio per la costituzione del TFR, sostiene che ora “il Governo cambia la giustificazione della trattenuta, perché, in verità” sostiene di aver inserito una sorta di ‘tassa’ “compensativa per garantire parità retributiva tra vecchi e nuovi assunti, ai sensi dell’art. 1, c. 3, del DPCM 1999”.

E qui sta il punto. Per l’Anief, infatti, il CCNQ 26 luglio 1999, recepito dal DPCM 20 dicembre 1999 prevede dal maggio 2000 per i neo-assunti statali il passaggio da regime di TFS con aliquota 9,60% e trattenuta 2,5% a regime TFR con aliquota 6,91% totalmente a carico del datore di lavoro (nota Inpdap 9 giugno 2000). Dopo 13 anni, a seguito delle recenti diffide sindacali, il Mef sembra fare mea culpa e correre, invano, ai ripari per non restituire niente.

“Ma forse – si chiede il sindacato autonomo - la pensione non è una retribuzione differita? Come è possibile affermare un principio, quello corretto della parità retributiva, dopo averlo sconfessato nei commi precedenti a sfavore delle nuove generazioni sulle buonuscite future? E questa trattenuta, se non doveva essere data, perché è tassata all’origine? E perché non è stata recuperata esplicitamente a livello figurativo nella contrattazione? Forse che il 2,5% pagato in regime di TFS non garantisce una maggiore buonuscita rispetto alla riduzione già penalizzante dello 0,19 (7,10% - 6,91%) dell’aliquota o della liquidazione?”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir al contenzioso, tutto questo è paradossale, tanto che “pone queste domande non soltanto al Governo ma a tutte le Confederazioni sindacali perché non si adotti più una riforma che penalizzi i lavoratori in base all’anno di assunzione, proprio mentre il Governo pensa di portare a 70 anni l’età anagrafica necessaria dal 2020 per andare in pensione e di erogare dal 2030 ai lavoratori in quiescenza soltanto il 40% del loro ultimo stipendio”.

Per il sindacato, quindi, il mea culpa del Mef, se mea culpa è stato, non convince, perché non si tratta di un mero errore formale in un Paese nel cui ordinamento giuridico la forma è sostanza, ma di un’evidente ingiustizia. L’Anief, già dopo la pubblicazione della sentenza n. 223/12 della Consulta aveva già messo a disposizione un primo modello di diffida per interrompere la trattenuta (ottobre 2012), superato poi dalla legge 228/12 (art. 1, cc. 98-99) che ha ripristinato la situazione precedente. In seguito, a tale norma, il sindacato ha elaborato un secondo modello di diffida (febbraio 2013) atto alla certificazione del credito figurativo del 2,69% (9,60%-6,91%) quale differenza tra le due aliquote per gli anni 2011-2012 per chi è ritornato in regime TFS. Oltre che all’interruzione della trattenuta del 2,5% con richiesta risarcitoria-recupero credito per gli ultimi dieci anni per chi è stato assunto in regime TFR o ha optato per esso.

Pertanto, il sindacato oggi fa sapere che continuerà a raccogliere le diffide per i lavoratori in regime di TFR, al fine di avviare “le opportune iniziative giudiziarie nei tribunali della Repubblica perché possa essere rispettato il principio della parità di trattamento tra tutti i cittadini senza distinzione di età e perché i lavoratori del pubblico impiego non siano penalizzati rispetto ai privati soltanto perché il Governo ha la potestà di legiferare d’urgenza e di disapplicare i contratti da lui firmati in contrasto con la legge da lui voluta”.

L’Anief invita quindi “Palazzo Chigi farebbero bene a fare bene i conti” per coprire le spese dovute ai dipendenti che, anche se con qualche anno di ritardo rispetto alla vecchia tabella di marcia, andranno in pensione: “oltre ai soldi per cassa integrazione o proroga dei contratti”, il Governo dovrebbe preoccuparsi di “trovare la copertura anche per quei 3 miliardi (corrispondente al 2,69%, frutto della differenza tra le due aliquote TFS e TFR per gli anni 2011-2012) necessari per onorare interamente le future buonuscite dei 2,5 milioni di dirigenti e dipendenti pubblici che nei prossimi anni andranno in pensione, rispetto ai 41 milioni già stanziati nell’ultima finanziaria bastevoli a riliquidare il trattamento di fine servizio di chi è andato illegittimamente, nel frattempo, in pensione in regime di TFR”.

Fonte: Tecnica della Scuola

 

Alla luce della novità introdotta nei cedolini a partire dalla rata di aprile 2013, la spiegazione del MEFsull'importo risultante nelle ritenute previdenziali non convince l'Anief, che continua a mettere a disposizione le diffide per i lavoratori in regime di TFR.

Ufficio Stampa Anief - Il CCNQ 26 luglio 1999, recepito dal DPCM 20 dicembre 1999 prevede dal maggio 2000 per i neo-assunti statali il passaggio da regime di TFS con aliquota 9,60% e trattenuta 2,5% a regime TFR con aliquota 6,91% totalmente a carico del datore di lavoro (nota Inpdap 9 giugno 2000). Dopo 13 anni, a seguito delle recenti diffide sindacali, il Mef sembra fare mea culpa e correre, invano, ai ripari per non restituire niente. Mancano, inoltre, ancora i 3 miliardi necessari per liquidare interamente i TFS futuri.

I più di 700.000 dirigenti e dipendenti pubblici passati al nuovo regime di TFR regolato dall’articolo 2120 del Codice civile introdotto dalla legge 297/1982, secondo quanto disposto dalla legge 335/1995 che prevede l’armonizzazione del sistema previdenziale pubblico a quello privato dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego (d.lgs. 29/1993), hanno sempre letto nei loro cedolini, in questi tredici anni, una voce: TRATTENUTA 2,5% TFR – OPZ. PREV. corrispondente a 35 € mensili per uno stipendio medio di 1.250 €

Questa voce, in verità, non è dovuta visto che l’azienda privata non opera alcuna trattenuta nella busta paga dei suoi lavoratori.

L’Anief, già dopo la pubblicazione della sentenza n. 223/12 della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il passaggio anche dei lavoratori rimasti in regime TFS allo stesso regime TFR dal 1° gennaio 2011 con la trattenuta del 2,5%, ha messo a disposizione un primo modello di diffida per interrompere la trattenuta (ottobre 2012), superato poi dalla legge 228/12 (art. 1, cc. 98-99) che ha ripristinato la situazione precedente. In seguito, a tale norma, il sindacato ha elaborato un secondo modello di diffida (febbraio 2013) atto

· alla certificazione del credito figurativo del 2,69% (9,60%-6,91%) quale differenza tra le due aliquote per gli anni 2011-2012 per chi è ritornato in regime TFS;
· all’interruzione della trattenuta del 2,5% con richiesta risarcitoria-recupero credito per gli ultimi dieci anni per chi è stato assunto in regime TFR o ha optato per esso.

Nel cedolino di aprile 2013, dopo l’arrivo di migliaia di diffide del personale della scuola, il Governo cambia la giustificazione della trattenuta, perché, in verità, non voleva trattenere il 2,5% come contributo obbligatorio per la costituzione del TFR ma come trattenuta compensativa per garantire parità retributiva tra vecchi e nuovi assunti, ai sensi dell’art. 1, c. 3, del DPCM 1999.

Ma forse la pensione non è una retribuzione differita? Come è possibile affermare un principio, quello corretto della parità retributiva, dopo averlo sconfessato nei commi precedenti a sfavore delle nuove generazioni sulle buonuscite future? E questa trattenuta, se non doveva essere data, perché è tassata all’origine? E perché non è stata recuperata esplicitamente a livello figurativo nella contrattazione? Forse che il 2,5% pagato in regime di TFS non garantisce una maggiore buonuscita rispetto alla riduzione già penalizzante dello 0,19 (7,10% - 6,91%) dell’aliquota o della liquidazione?

Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir al contenzioso, pone queste domande non soltanto al Governo ma a tutte le Confederazioni sindacali perché non si adotti più una riforma che penalizzi i lavoratori in base all’anno di assunzione, proprio mentre il Governo pensa di portare a 70 anni l’età anagrafica necessaria dal 2020 per andare in pensione e di erogare dal 2030 ai lavoratori in quiescenza soltanto il 40% del loro ultimo stipendio.

Il mea culpa del Mef, se mea culpa è stato, non convince, perché non si tratta di un mero errore formale in un Paese nel cui ordinamento giuridico la forma è sostanza, ma di un’evidente ingiustizia. Pertanto, Anief-Confedir continua a mettere a disposizione le diffide per i lavoratori in regime di TFR e avvierà le opportune iniziative giudiziarie nei tribunali della Repubblica perché possa essere rispettato il principio della parità di trattamento tra tutti i cittadini senza distinzione di età e perché i lavoratori del pubblico impiego non siano penalizzati rispetto ai privati soltanto perché il Governo ha la potestà di legiferare d’urgenza e di disapplicare i contratti da lui firmati in contrasto con la legge da lui voluta.

Nel frattempo, a Palazzo Chigi farebbero bene a fare bene i conti perché oltre ai soldi per cassa integrazione o proroga dei contratti bisogna trovare la copertura anche per quei 3 miliardi (corrispondente al 2,69%, frutto della differenza tra le due aliquote TFS e TFR per gli anni 2011-2012) necessari per onorare interamente le future buonuscite dei 2,5 milioni di dirigenti e dipendenti pubblici che nei prossimi anni andranno in pensione, rispetto ai 41 milioni già stanziati nell’ultima finanziaria bastevoli a riliquidare il trattamento di fine servizio di chi è andato illegittimamente, nel frattempo, in pensione in regime di TFR. Anche per questa ragione, rimangono validi i modelli di diffida per il TFS.

Il link alla pagina da cui scaricare i modelli di diffida

Avviso per il personale in regime di TFR: le novità dal mese di aprile 2013

Fonte: Orizzonte Scuola

 

Anche l'Anief interviene su uno degli argomenti più importanti di fine anno scolastico per i supplenti con contratto al 30 giugno: la monetizzazione delle ferie non godute, e lo fa ribadendo che l'art. 56 della legge di Stabilità è chiaro: "Le disposizioni di cui ai commi 54 e 55 non possono essere derogate dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013”.

L'Anief pertanto non chiede nessuna nota di chiarimento al MIUR, infatti
Il ripristino del pagamento delle ferie dei precari della scuola contenuto nell’attuale versione della Legge di Stabilità, che a seguito della spending review non si sarebbero dovute monetizzare, rappresenta un dato importante perché costituisce il ripristino di un diritto, che se altrimenti negato avrebbe chiaramente violato tutta la normativa vigente.

L’ art. 2113 c.c. afferma: “le rinunzie e le transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti o accordi collettivi non sono valide.” A tal proposito, riceviamo dai supplenti diverse segnalazioni in merito alla decisione di alcuni Dirigenti scolastici che suggeriscono ed in alcuni casi “obbligano” a richiedere le ferie già maturate.

Fino ad un mutamento della normativa vigente, ANIEF si rivolge a tutto il personale precario interessato e lo invita a non dare seguito alcuno agli “inviti” a fruire delle ferie entro lo scadere del contratto, da parte dei dirigenti scolastici. Nel caso in cui questi ultimi volessero “forzare la mano”, emanando provvedimenti di collocamento in ferie d’ufficio, sarà sufficiente inviare una e-mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per richiedere il modello di risposta da presentare contro tale provvedimento.

Fonte: Orizzonte Scuola

 

La proroga decisa dal Cdm ieri sui contratti di circa 100mila dipendenti della P.A., rappresenta solo il prolungamento della loro agonia lavorativa voluta dallo Stato italiano. A sostenerlo e' Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per il contenzioso.

"Allungare i contratti lavorativi sembrerebbe un segnale positivo - spiega Pacifico – ed in effetti lo e' per le decine di migliaia di lavoratori che avranno la possibilita' di lavorare sino alla fine del 2013. Ma le buone notizie finiscono qui. Perche' rimangono in piedi, almeno due gravi storture che il nuovo Governo e' chiamato ad eliminare. La prima, e' la volonta' di escludere i dirigenti pubblici dalla nuova contrattazione del pubblico impiego, come se non si trattasse di lavoratori e alte professionalita' da salvaguardare. A cui va aggiunta l'ostinazione dei governanti italiani nel disapplicare la normativa sulla stabilizzazione dei precari che hanno svolto almeno 36 mesi di servizio anche non continuativo. Siamo di fronte - continua il sindacalista - alla violazione di una precisa direttiva, in particolare dell'art. 4 della 1999/70/CE, peraltro gia' da tempo recepita nel nostro paese dall'articolo 6 del decreto legislativo 268 del 2001. Allungare di sei mesi dei contratti a tempo determinato, quindi, non ci puo' soddisfare. Il sindacato conferma la volonta' di ricorrere, in tutte le sedi possibili, contro questa politica lesiva dei diritti dei dipendenti pubblici".

Fonte: Italpress

 

La proroga decisa dal Consiglio dei Ministri sui contratti di circa 100mila dipendenti della pubblica amministrazione "rappresenta solo il prolungamento della loro agonia lavorativa voluta dallo Stato italiano". A sostenerlo è Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato di Confedir (Confederazione dei dirigenti, funzionari, quadri ed alte professionalità della Pubblica Amministrazione).

"Allungare i contratti lavorativi sembrerebbe un segnale positivo - spiega Pacifico - ed in effetti lo è per le decine di migliaia di lavoratori che avranno la possibilità di lavorare sino alla fine del 2013. Ma le buone notizie finiscono qui. Perché rimangono in piedi almeno due gravi storture che il nuovo Governo è chiamato ad eliminare. La prima è la volontà di escludere i dirigenti pubblici dalla nuova contrattazione del pubblico impiego, come se non si trattasse di lavoratori e alte professionalità da salvaguardare. A cui va aggiunta l'ostinazione dei governanti italiani nel disapplicare la normativa sulla stabilizzazione dei precari che hanno svolto almeno 36 mesi di servizio anche non continuativo".

"Siamo di fronte - continua il sindacalista Anief-Confedir - alla violazione di una precisa direttiva, in particolare dell'articolo 4 della 1999/70/CE, peraltro già da tempo recepita nel nostro paese dall'articolo 6 del decreto legislativo 268 del 2001. Allungare di sei mesi dei contratti a tempo determinato, quindi, non ci può soddisfare. Il sindacato conferma la volontà di ricorrere, in tutte le sedi possibili, contro questa politica lesiva dei diritti dei dipendenti pubblici".

Fonte: TMNews

 

"Uno Stato che non investe nei selezionatori dei docenti e negli ispettori della qualita' scolastica e' destinato al massimo a tenersi a galla". E' quanto si legge in una nota dell'associazione sindacale Anief, nello stesso giorno in cui "un noto quotidiano nazionale ha denunciato le grosse difficolta' che ha l'amministrazione scolastica nel reperire dei docenti-eroi che si prestino a lavorare tutta la prossima estate, senza andare in ferie ed in cambio di appena 500 euro, per fare da esaminatori del concorso a cattedra da cui entro il 31 agosto scaturiranno 11mila nuovi insegnanti".

"Se a questo aggiungiamo l'ormai cronica carenza di ispettori addetti alla valutazione scolastica, rilanciata da una testata giornalistica specializzata – prosegue la nota - non possiamo che giungere ad una triste conclusione: non servono le riforme dei concorsi e i nuovi sistemi di valutazione scolastica, se poi non c'e' la volonta' di incentivare adeguatamente i commissari e di selezionare nuovi ispettori".

"Il sindacato, come tutti i lavoratori della scuola - prosegue la nota - sono convinti che un sistema d'istruzione di qualita' non puo' continuare a reggersi sul volontariato di chi ama l'insegnamento oppure sulla professionalita' di un "pugno" di esperti chiamati a valutare l'operato di quasi 10 mila scuole. E' quindi urgente porre un rimedio a questa situazione, tornando a dare la giusta considerazione per i selezionatori dei nuovi docenti e assumendo nuovi ispettori. Altrimenti tutto il sistema scolastico rischia di regredire ulteriormente".

"Uno Stato che non investe in queste figure professionali, da cui dipende il destino di un milione di dipendenti tra docenti e Ata, oltre che la formazione di sette milioni di alunni, non puo' permettersi di svilire certe figure professionali", sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief.

"Occorre il prima possibile porre rimedio a tale limite. Altrimenti, non si capisce perche' dei commissari, ridotti a lavorare come dei lavoratori dell'Ottocento, malpagati, senza sosta e privati anche del riposo settimanale, debbano decidere di immolarsi per una causa in cui nessuno crede. Ad iniziare proprio dallo Stato", conclude Pacifico.

Fonte: Italpress

 

"Uno Stato che non investe nei selezionatori dei docenti e negli ispettori della qualità scolastica è destinato al massimo a tenersi a galla". La denuncia arriva dall'associazione sindacale Anief che fa riferimento a notizie secondo cui l'amministrazione scolastica avrebbe grosse difficoltà nel reperire "docenti-eroi che si prestino a lavorare tutta la prossima estate, senza andare in ferie e in cambio di appena 500 euro, per fare da esaminatori del concorso a cattedra da cui entro il 31 agosto scaturiranno 11mila nuovi insegnanti".

"Se a questo aggiungiamo l'ormai cronica carenza di ispettori addetti alla valutazione scolastica, rilanciata da una testata giornalistica specializzata, non possiamo che giungere a una triste conclusione: non servono le riforme dei concorsi e i nuovi sistemi di valutazione scolastica, se poi - osserva l'Anief - non c'é la volontà di incentivare adeguatamente i commissari e di selezionare nuovi ispettori".

Secondo il sindacato "un sistema d'istruzione di qualità non può continuare a reggersi sul volontariato di chi ama l'insegnamento oppure sulla professionalità di un 'pugno' di esperti chiamati a valutare l'operato di quasi 10 mila scuole".

"E' quindi urgente - afferma - porre un rimedio a questa situazione, tornando a dare la giusta considerazione per i selezionatori dei nuovi docenti e assumendo nuovi ispettori. Altrimenti tutto il sistema scolastico rischia di regredire ulteriormente".

"Uno Stato che non investe in queste figure professionali, da cui dipende il destino di un milione di dipendenti tra docenti e Ata, oltre che la formazione di sette milioni di alunni, non può permettersi di svilire certe figure professionali. Occorre il prima possibile - dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief - porre rimedio a tale limite. Altrimenti, non si capisce perché dei commissari, ridotti a lavorare come lavoratori dell'Ottocento, malpagati, senza sosta e privati anche del riposo settimanale, debbano decidere di immolarsi per una causa in cui nessuno crede. A iniziare proprio dallo Stato".

Fonte: ANSA

 

Dall'Europa giunge un altro importante segnale che indica la necessita' di abbattere la precarieta' lavorativa e non incentivarla, come purtroppo avviene in Italia da tempo e ancora di piu' dopo l'approvazione della riforma Fornero. Da un vasto studio dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, pubblicato in queste ore, che ha visto coinvolti 16.622 cittadini europei appartenenti a 31 Paesi diversi (gli attuali 27 Stati membri dell'UE, insieme a Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), risulta che "la precarieta' dell'impiego o la riorganizzazione del lavoro sono considerate le cause piu' comuni dello stress legato all'attivita' lavorativa".

"La meta' dei lavoratori europei - si legge nelle conclusioni del rapporto - ritiene che lo stress legato al lavoro sia un fenomeno comune, mentre quattro su dieci ritengono che non sia gestito adeguatamente nel proprio luogo di lavoro".

E' davvero significativo che "la causa piu' comune dello stress da lavoro in Europa, individuata nella precarieta' dell'impiego o nella riorganizzazione del posto di lavoro (72%)" sia maggiormente sentita rispetto addirittura agli eccessi di ore passate sul posto di lavoro e pure "al carico di lavoro (66%)". E' anche sintomatico che l'Agenzia europea abbia ravvisato che "nei paesi con un debito pubblico piu' elevato, i lavoratori tendono maggiormente a citare la precarieta' dell'impiego o la riorganizzazione del posto di lavoro come causa percepita dello stress legato al lavoro". dp/com

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir alle alte professionalita', "questi dati confermano quanto sosteniamo da tempo: in Italia si ha paura della precarieta'. Al punto che non si fa nulla per combatterla. Il nostro, infatti, e' uno dei Paesi europei dove le amare conclusioni del rapporto si riscontrano in pieno. Troppo spesso il lavoro e' considerato come un 'male oscuro', per il quale non esiste pero' alcuna terapia o medicina".

A tal proposito, il sindacato ricorda che lo Stato italiano non ha mai voluto recepire la giurisprudenza e le direttive comunitarie, in particolare la direttiva europea 1999/70, che avrebbero calmierato sicuramente l'aumento del 10% di disoccupazione nell'ultimo anno: assumere definitivamente i precari dopo 36 mesi di servizio, infatti, permetterebbe in un "colpo" solo di investire in professionisti competenti, che migliorerebbero la macchina lavorativa, oltre che stabilizzare tantissimi lavoratori dando loro l'opportunita' di realizzare il loro progetto di vita.

"Le indicazioni fornite dal rapporto europeo - continua Pacifico - ci confermano quanto siano state inopportune e ingiustificate le deroghe adottate dall'Italia rispetto alle indicazioni dell'Ue. Il Governo Letta non puo' non prenderne atto. E' infatti giunta l'ora di voltare pagina. Mettendosi finalmente alle spalle le discriminazioni effettuate, persino dallo Stato; basta vedere cosa accade nella scuola, nei confronti dei lavoratori precari: dalla stessa Europa e' stato infatti piu' volte segnalato che le differenze di trattamento tra dipendenti di ruolo e precari di lunga data non sono accettabili. In caso contrario si incappa nella discriminazione. Il Governo non puo' continuare ad eludere questi campanelli di allarme sovranazionali: e' giunto il momento - conclude il rappresentante Anief-Confedir - di investire seriamente, aumentando in modo significativo i finanziamenti rispetto al Pil, sulla formazione e sulla cultura. Oltre che affrontare una volta per tutte il problema della precarieta' lavorativa crescente: allargarla ulteriormente sarebbe un vero dramma nazionale".

Fonte: Italpress

 

E' incostituzionale obbligare i professori e i ricercatori universitari a lasciare il servizio al compimento dei 70 anni, negando loro la proroga di due anni concessa invece a tutti i dipendenti pubblici: a stabilirlo sono i giudici della Consulta, con la sentenza n. 83/2013, pubblicata oggi, che hanno di fatto annullato gli effetti attuativi dell'art. 25 della Legge 240/2010 voluta dall'ex ministro dell'Istruzione, Universita' e Ricerca, Maria Stella Gelmini.

"Nella sentenza - spiega l'Anief in una nota -, gli ermellini hanno ravvisato palesi contraddizioni tra il testo contenuto nella citata legge rispetto, in particolare, agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Di conseguenza, la Consulta ritiene che la L. 240/2010 non tiene conto delle peculiarita' relative alla professione dei docenti e dei ricercatori accademici: negando loro la possibilita' di mettere al servizio degli studenti e della societa' tutta le competenze acquisite nel tempo nei rispettivi specifici ambiti di competenza, si e' tentato di introdurre 'una disciplina sbilanciata e irrazionale'".

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per le alte professionalita', la sentenza "rimette ordine ad un sistema danneggiato da una evidente forzatura voluta dall'ex Governo Berlusconi", permettendo di "mantenere in essere delle alte professionalita' al servizio dello Stato e favorire nel contempo una continuita' didattica sempre piu' spesso minacciata dalla mancanza di turn over".

Il sindacalista ritiene, inoltre, che "la cancellazione dell'articolo 25 della Legge 240/2010 rappresenta l'occasione giusta per tornare a chiedere e con maggior forza al nuovo ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, di adoperarsi per restituire dignita' alla figura del ricercatore universitario, cancellata da quella stessa legge. Allo stesso modo – continua Pacifico - e' indispensabile che si torni a dare la possibilita'ai ricercatori di essere collocati in una loro fascia professionale, oggi ad esaurimento. E di far loro conseguire l'abilitazione all'insegnamento come docenti associati, attraverso il ripristino della macchina concorsuale".

"Il ministro Carrozza, professore universitario con un'esperienza rilevante da rettore della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, comprendera' bene che senza i ricercatori l'universita' italiana non potra' mai essere rilanciata. Si tratta di figure indispensabili, che meritano di essere finalmente collocati nel ruolo che spettano, come anche previsto - conclude il rappresentante Anief-Confedir - dalla carta dei ricercatori europei".

Fonte: Italpress

 

La Corte Costituzionale "rimette ordine a un sistema danneggiato da una evidente forzatura voluta dall'ex Governo Berlusconi", permettendo di "mantenere in essere delle alte professionalità al servizio dello Stato e favorire nel contempo una continuità didattica sempre più spesso minacciata dalla mancanza di turn over". Così l'Anief commenta la sentenza della Consulta che riabilita i prof universitari a rimanere altri due anni in servizio oltre i 70 anni di età.

"La cancellazione dell'articolo 25 della Legge 240/2010 - afferma il presidente dell'associazione, Marcello Pacifico - rappresenta l'occasione giusta per tornare a chiedere e con maggior forza al nuovo ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, di adoperarsi per restituire dignità alla figura del ricercatore universitario, cancellata da quella stessa legge.

Allo stesso modo - continua Pacifico - è indispensabile che si torni a dare la possibilità ai ricercatori di essere collocati in una loro fascia professionale, oggi ad esaurimento. E di far loro conseguire l'abilitazione all'insegnamento come docenti associati, attraverso il ripristino della macchina concorsuale.

Il ministro Carrozza, professore universitario con un'esperienza rilevante da rettore della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, comprenderà bene - conclude Pacifico - che senza i ricercatori l'università italiana non potrà mai essere rilanciata".

Fonte: ANSA

 

Giorno 9 maggio si è svolto presso il Ministero un incontro con i sindacati sui tagli del dimensionamento. Intervengono ANIEF e FLCGIL.

Secondo quanto riferito dal Ministero le scuole dotate di autonomia passano da 9.131 dell’anno corrente a 8.646 nel 2013-2014, mentre quelle con dirigente scolastico e direttore dei servizi (DSGA) passano da 8106 a 8094 (che diventano 8149 se vengono considerate anche le sedi Centri per l’Istruzione degli Adulti -CPIA). Scompaiono, dunque, altre 485 scuole: un numero superiore a quello preventivato sulla media dei 900 alunni ipotizzato nell’Intesa Stato Regioni.

Sulla faccenda, ieri, è intervenuta l'ANIEF che ha chiesto al MIUR di "applicare la sentenza della Consulta" che ha ritenuto "incostituzionale la norma voluta dal Parlamento che ha soppresso almeno 1.500 istituti scolastici: in particolare ha abrogato l'articolo 19, comma 4, del decreto legge 98 del 2011, poi legge 111/2011, nella parte che fissava l'obbligo di accorpamento in istituti comprensivi di scuole d'infanzia, primaria e medie con meno di mille alunni."

Tale abrogazione ha comportato, come noto, il ripristino dei criteri previsti dal D.P.R. 233 del 18 giugno 1998, la cui applicazione garantisce comunque la collocazione di questo personale in uno stato di titolarità. "E non di certo il loro posizionamento in esubero. - sottolinea Marcello Pacifico - Con tutte le conseguenze, professionali e personali, che ne derivano."

La FLCGIL ha, invece, chiesto un semplice ripensamento sulla questione dimensionamento, superando "le norme che impediscono la preposizione di dirigente scolastico e DSGA alle scuole cosiddette sottodimensionate (sotto i 600 alunni e i 400 nelle situazioni particolari)" e ripensando "la stessa media dei 900 alunni che non fa i conti con le specificità territoriali e non tiene conto delle ingestibilità delle scuole sovradimensionate, pluriplesso o insistenti su più comuni."

Fonte: Orizzonte Scuola

 

Una scuola al centro dell'agenda politica del governo, è quanto chiedono i sindacati dopo la nomina di Maria Chiara Carrozza al ministero dell'Istruzione. Abbiamo chiesto ai segretari.

E una scuola al centro dell'agenda è sinonimo di investimenti “La scuola – sottolinea come in altre occasioni Francesco Scrima, segretario di Cisl Scuola – non deve essere considerata un capitolo di spesa ma di investimento sul nostro futuro”. Cosa chiedono quindi le sigle sindacali al nuovo Ministro? “Migliorare l'offerta formativa, garantire la sicurezza delle strutture scolastiche e e stabilizzare il personale – sintetizza Scrima –. Serve infine il rinnovo di un piano triennale di assunzione”.

Anche Domenico Pantaleo, segretario di Flc-Cgil, chiede investimenti e un adeguamento della spesa per l'istruzione agli standard europei: “Chiediamo un investimento di 4 miliardi annui aggiuntivi, per migliorare le infrastrutture, allargare il tempo scuola e migliorare la qualità didattica”.

Rino Di Meglio, segretario della Gilda insegnanti conferma come urgenti gli stessi provvedimenti, edilizia scolastica e precariato, riguardo ai quali il ministro stesso ha già manifestato una certa attenzione senza però sbilanciarsi in indicazione sulle politiche. “Anche se in passato – mette in guardia Di Meglio – ci hanno già abituato a tante belle parole poi smentite dai fatti”.

I sindacati chiedono poi un intervento deciso e prioritario sugli organici: “Serve al più presto un organico pluriennale funzionale a livello delle singole scuole”, dice Marco Paolo Nigi, segretario di Snals-Confsal. “È necessario insomma abolire la differenza tra organico si fatto e di diritto e fare le nomine di ruolo su questo nuovo organico”. E, aggiunge Massimo di Menna di Uil Scuola “si tratta di una modifica urgente perché fondamentale che a settembre si inizi con un organico più stabile”.

E c'è poi una questione salariale aperta: “Bisogna abolire le norme che vanno in contrasto con la contrattazione collettiva nazionale in merito a ferie e permessi e garantire la qualità della scuola anche attraverso la valorizzazione del personale – spiega Marcello Pacifico, presidente di Anief -. Chiediamo inoltre innalzamento dell'obbligo scolastico al diploma superiore e una riforma dell'apprendistato che consenta di collegare gli ultimi tre anni delle superiori al lavoro. Questo consentirebbe di combattere la dispersione scolastica e aumentare gli organici. Infine – conclude Pacifico – auspichiamo che sia introdotto un sistema di valutazione e riconoscimento del merito degli insegnati che però non vada a discapito degli scatti di anzianità e che non sia affidato al dirigente o sindacalista di turno”.

Infine altro punto centrale è la sburocratizzazione del Miur:
“È fondamentale che il Miur si liberi dal commissariamento del ministero dell'Economia. In questo senso diciamo che la responsabilità politica della scuola deve essere affidata al presidente del Consiglio”, commenta Pantaleo. “Il Ministero – aggiunge Di Menna – si deve trasformare in un rogano di supporto per le scuole, occorre evitare un appesantimento e un eccessiva centralizzazione. Oltretutto un intervento del genere consentirebbe anche di risparmiare risorse”.

Fonte: Orizzonte Scuola